
L’arte paleocristiana (I-V secolo) cominciò a formarsi precisamente con le catacombe, essendo quindi la più antica forma d’arte legata alla storia del crsitianesimo. L’iconografia nelle catacombe cristiane inizialmente (I-II secolo) è molto semplice, spesso reinterpretando non solo tecniche e stili dell’arte pagana ma anche i soggetti (per esempio dèi pagani come Mercurio che vengono trasformati nel Buon Pastore) e per questo fu anche chiamata “arte romana cristianizzata”. I cristiani convertiti erano pur sempre cittadini di cultura e tradizioni romane e gli artisti, fino alla metà del IV secolo, rispondevano senza distinzione a committenze pagane e cristiane.
La simbologia era molto importante e quindi molto presente: da una parte perché il cristianesimo era ancora influenzato dalle sue radici culturali giudaiche, e la religione ebraica è aniconica, ossia che proibisce rappresentare essere divini, profeti od altri personaggi religiosi, e dall’altra perché era legata alla natura clandestina della pratica del culto nel periodo precedente all’Editto di Milano. Soggetti come pesci, rami di ulivo, uccelli (come il pavone, la fenice e la colomba) la vite o l’ancora sono estensamente rappresentati, oltre, naturalmente, alla croce.
Molti dei simboli ebraici sono ripresi dalla religione cristiana, come dimostra diversa iconografia in catacombe ebraiche, dove possiamo trovare, oltre alla menorah (il calndelabro a sette braccia), l’etrog (il cedro) o lo shofar (il corno), tipici simboli ebraici, anche la palma, il pavone, o giardini fioriti che ricordano la creazione del paradiso terrestre (Gen 2,8-10), molto rappresentati anche nella catacombe cristiane.
Tutti i simboli hanno il loro significato, quasi sempre legato alla resurrezione e la salvezza eterna, come la palma (simbolo del martirio e quindi della vittoria, dell’ascesa, della rinascita e dell’immortalità), il pavone (che in inverno perde le piume e in primavera ne acquiesta di nuove ancor più belle) o la fenice (che rinasce dalle sue proprie ceneri). Come sappiamo, il pesce rappresenta Cristo1; la colomba, con il ramoscello di ulivo nel becco, la pace del paradiso, la salvezza apportata dall’arca di Noè; l’ancora la fermezza della fede e la speranza della promessa della vita futura; la vite, i tralci con l’uva, che tradizionalmente era il simbolo legato al dio Bacco, divenne poi emblema di Cristo, grazie alle parole che lui stesso pronuncia nel Vangelo2.
Alfa ed Omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, indicano che Cristo è principio e fine di ogni cosa3. Tra i simboli più conosciuti c’è quello dell’agnello, la creatura pura sacrificata a Dio dal popolo d’Israele per liberarsi dalla schiavitù d’Egitto. Il simbolo dell’agnello e del suo sacrificio è mantenuto anche nel Nuovo Testamento: Gesù è sacrificato per la salvezza del popolo di Dio. L’agnello viene raffigurato spesso con un’aureola, o con la croce, o lo stendardo della Resurrezione.
Già verso la fine del secondo secolo si sviluppa un’iconografia più narrativa, che attinge soprattutto dalle scritture: dell’Antico Testamento le più rappresentate sono ‘Daniele nella fossa dei leoni’, il ‘Peccato originale di Adamo ed Eva’, ‘Giona inghiottito dalla balena’, ‘Noè ed il Diluvo Universale’, il ‘Sacrificio di Isacco’ o i ‘Giovani di Babilonia salvati dalle fiamme della fornace’; e del Nuovo Testamento, la ‘Resurrezione di Lazzaro’, la ‘Moltiplicazione dei pani e dei pesci’ ed altri miracoli, ‘l’Ultima Cena’ o il ‘Buon Pastore’. Questi rappresenta Cristo Salvatore con la pecora sulle spalle, l’anima che Lui ha salvato. Gesù è il Pastore di tutti i suoi discepoli. L’orante è rappresentato con frequenza. E’ una figura vestita con una tunica a maniche lunghe e con le braccia alzate verso il cielo, in preghiera, intercedendo per chi resta, chiedendo “pietà” per i cristiani. Non mancano immagini della Natività, dei Re Magi o degli apostoli.
In alcuni casi, come nell’Ipogeo di Dino Compagni di Roma, scoperto nel 1955, datato IV secolo, troviamo affreschi che rappresentano temi biblici rappresentati con iconografie inconsuete, anche tratte dal repertorio mitologico. Tali rappresentazioni testimoniano la presenza, accanto a gruppi cristiani, di gruppi non ancora convertiti.
Per quanto riguarda le teniche utilizzate, troviamo dipinti, mosaici (dei quali ne restano solo poche tracce) o rilievi di sarcofagi. Le pitture non sono encausti ma solo affreschi e tempere, salvo eccezioni, giacché l’encausto richiede vari strati di intonaco che le pareti di tufo e pozzolana non potrebbero sostenere. I colori sono minerali e la tavolozza povera: predominano l’ocra gialla, il rosso e il verde; più raramente si trovano il minio e il cinabro e assai più raro il turchino. La pittura si distende su pareti e volte di cubiculi, sullo sfondo, nel sottarco e sulla fronte degli arcosoli. In alcuni casi anche negli ambulacri monumentali. Nel periodo più antico la decorazione è più semplice, tracciata rapidamente, dove le figure si rilevano da lontano mentre che da vicino sono più che altro macchie di colore. In questa fase pittorica possiamo collocare la famosa Madonna di Priscilla (seconda metà del II secolo, inizio III), che ha vicino un profeta (Balaam o Isaia), l’immagine di Maria più antica del mondo4.
Le tecniche pittoriche, così come l’uso dei colori, cambiano col passare del tempo. I colori più luminosi cedono il passo a tinte piu calde, rossi e gialli coriacei con larghe ombre scure. Ma poi, nel secolo IV risorge il gusto del colore.
Inoltre lo stile e i soggetti cambiano a seconda dell’ubicazione delle catacombe perché subiscono l’influenza della cultura locale. Se a Roma le catacombe sono influenzate da modelli pagani a Siracusa gli affeschi sono chiaramenti orientaleggianti. In quelle di Napoli, nelle quali si è continuato a seppellire fin verso il X secolo, sono evidenti le varie epoche: dall’ultima epoca pompeiana fino all’influsso bizantino per derivare poi in uno stile tutto campano.
In quanto all’epigrafia, gli epitaffi sulle tombe più antiche registrano solo il nome del defunto, raramente accompagnato da quello del dedicante o dall’augurio di pace. Poi il formulario è andato arricchendosi di elementi onomastici, anagrafici, topografici (relativi al luogo di abitazione o di lavoro) e di formule augurali come ad es. vivas in Deo (vivi in Dio), requiescit in pace (riposa in pace), ecc. Ricorrono anche titoli di merito (come martyr e confessor), altri liturgici, onorifici o cultuali (sanctus e beatus). Per i cristiani la data di morte veniva indicata come il dies natalis, il giorno di nascita alla vita eterna. Altre formule epigrafiche sono le acclamazioni come gli auguri di pace, o dedicati alla felicità celeste, o il refrigerium, l’augurio di partecipazione al convito celeste, ecc., e le orazioni, come le invocazioni dell’intercessione o le preghiere per il defunto. Il materiale utilizzato era in gran parte marmo. Solitamente era un artigiano specializzato, il lapicida, ad operare sul materiale: tuttavia in moltissimi casi non possedeva una cultura sufficiente per scrivere in lingua corretta, e diffusamente si riscontrano alterazioni fonetiche e morfologiche proprie del vernacolo.

Altro genere epigrafico si considerano i graffiti, prodotti dai visitatori sull’intonaco delle pareti presso i sepolcri venerati. Le abbreviazioni si crearono per guadagnare spazio e tempo, come per esempio per sospensione, trascrivendo le prime lettere della parola (con una sbarra trasversale), o per contrazione, cioè sopprimendo alcune lettere. Esistono anche abbreviazioni per assimilazione di elementi o con lettere intrecciate, da cui poi deriva il monogramma, il più famoso dei quali è il monogramma di Cristo5.
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1.- In greco pesce è ICTHUS (ιχθύς) che sarebbe l’acronimo di “Iesous Cristòs Theou Uiòs Soter” Gesù Cristo figlio di Dio salvatore (Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore).
2.- «Io sono la vite. Voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla.» (Giovanni, 15, 5)
3.- Apocalisse (22, 13): “Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine”.
4.- Quest’immagine, inoltre, proverebbe la presenza di un culto mariano già alla fine del II secolo o inizi del III, quando ‘ufficialmente’ fu introdotto nel 431 nel Concilio di Efeso, nel quale si proclama il dogma di fede che Maria è la “Madre di Dio”, in greco Theotókos.
5.- Il Chi Rho, conosciuto anche come monogramma costantiniano o eusebiano o chrismon, croce monogrammatica. È costituito essenzialmente dalla sovrapposizione delle prime due lettere del nome greco di Cristo, X (equivalente a “ch” nell’alfabeto latino) e P (che indica il suono “r”). Talvolta sotto la gamba della P si trova una S, ultima lettera del nome ‘Χριστός’ o appare insieme alle lettere alfa e omega e attorniato da una corona d’alloro, segno della vittoria.
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