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masuccio

Forse pochi conoscono Tommaso Guardati, più famoso come Masuccio Salernitano, autore dell’opera ‘Il Novellino’, una raccolta di 50 novelle.

Masuccio visse nel secolo XV ed appartenne ad una nobile famiglia originaria di Sorrento. Da giovane fece studi ecclesiastici che abbandonò per passare al servizio di Alfonso V di Aragona a Napoli. Nel 1463 tornò a Salerno e fu segretario del principe Roberto Sanseverino.

masuccio_salernitanoLa prima edizione del Novellino è del 1476, un anno dopo la sua morte. Le novelle rispecchiano la vita dei suoi tempi e sono soprattutto una critica, narrata in chiave comica, dei costumi licenziosi e malvagi del clero che invece di rispettare i loro voti pensano piuttosto a soddisfare i piaceri carnali o ad approfittarsi della loro condizione per arricchirsi. Anche le donne infedeli e corrotte sono bersaglio dei suoi dardi. Quindi si scaglia contro quelli che guastano la religione ed il vero amore, le due cose più importanti per lui. Sono storie satiriche e grottesche ma non pare siano state da lui inventate, ma solo ‘narrate’ a partire da fatti veri da lui conosciuti o a lui raccontati. Masuccio scrive in lingua materna, non in latino, utilizzando termini dialettali napoletani ed anche qualche latinismo. Nel 1557 l’opera fu inclusa dall’Inquisizione nell’ ‘Index librorum prohibitorum’, ragione della sua poca divulgazione.

Con una chiara ispirazione a Boccaccio, da lui stesso riconosciuta, l’opera è dedicata ad Ippolita, Duchessa di Calabria, e le 50 novelle sono divise in 5 gruppi che hanno come oggetto: 1)  Ecclesiastici poco ortodossi o corrotti;  2) Mariti gelosi con mogli infelici, maltrattate e conquistate da un amante con astuzia; 3) Donne trascinate alla passione che tradiscono i mariti; 4) Amori impossibili; 5) Amori con finale felice.

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E per quanto attiene all’argomento di questo blog, diremo che nella Novella III, un frate che dimentica le sue mutande a casa di una sua ‘conquista’, giovane moglie di un medico molto geloso, con la complicità della sua congregazione riesce a farle spacciare per quelle di San Griffone, come una reliquia, facendo credere che grazie a queste si poté operare il miracolo di guarire la donna da un pericoloso e non ben identificato male: ‘… per le virtù delle mutande che furono del loro San Griffone, un miracolo evidentissimo Idio ci avia quel giorno mostrato’, ragion per la quale in grande corteo le posarono sull’altare maggiore cantando ‘Veni Creator Spiritus’.

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E nella Novella IV, che ricorda molto quella di Frate Cipolla di Boccaccio, già commentata in questo blog ‘Fra Ieronimo da Spoleto con un osso de corpo morto fa credere al popolo surrentino sia il braccio di San Luca’.

A questo frate minore un giorno fu mostrato il corpo di un cavaliere morto da tanti anni ma molto ben conservato e così ‘misser lo frate, che bene avea a tutto rimirato, de posser avere alcun membro de ditto corpo subito imaginoe, a ciò che con quello, sotto nome di reliquia, e centinaia e migliaia di ducati cavar ne potesse, e de quelli non solo poltronizzare, ma per posser, come sogliono, pervenire mediante quelli ad alcun grado di prelatura’ .

Masuccio commenta, in prima persona,  ‘Che se ben rimirasse intorno, si vedrebbe quanti ne sono divenuti gran prelati a spese de’ miseri e sciocchi seculari, diventando questo de l’eresia inquisitore, quell’altro de la cruciata collettore: taccio de alcuni, che con bulle apostoliche, o vere o false che siano, rimettono i peccati, e per forza de moneta collocano ciascuno in paradiso, empiendosi a torto e a dritto le budella de fiorini, ancora che da loro santissime regule espressamente gli sia proibito.’

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Tornando alla nostra storia, il frate ottenne il braccio destro del cavaliere con inclusa la mano. Insieme ai suoi compagni arrivò a Sorrento dove cominciò a mettere in pratica il suo piano. ‘Ed essendo la seguente mattina domenica, mandò il guardiano del convento a pronunziare a l’arcivescovo, che lui con la sua benedizione intendea fare una divota predica’ […] e che al popolo sarebbe stata ad onore e laude de Dio, mostrata una santa reliquia, e la più divota che in loro tempi avessero veduta.’

Nella predica il frate spiega che la reliquia è nientedimeno che il braccio con la mano destra di San Luca, dono del patriarca di Costantinopoli al loro padre vicario, aggiungendo che possiede una bolla del papa ‘per la quale concede grandissime indulgenze e remissione di peccati a qualunque a ditta reliquia farà qualche elemosina secundo la sua possibilitade, a tal che, di quello se ne raduna, se ne faccia un tabernaculo d’argento con alcune gioie ligate, come conviensi a tanto eccelsa cosa’.

E mentre mostrava la ‘reliquia’ al popolo e in ginocchio la adoravano, il compagno di frate Girolamo, fra Mariano di Saona, vestito da domenicano con una gran messa in scena irruppe dicendo: ‘O vile ribaldo, poltrone, ingannatore de Dio e degli omini, non hai tu vergogna a dire sì grande ed enorme bugia, che questo sia il braccio di San Luca, atteso che io so del certo che ‘l suo corpo è a Padua tutto intero?’ E nello sbigottimento e smarrimento di tutta l’assemblea, fra Girolamo ‘rivòltosi verso l’altare maggiore, ove una immagine del crocefisso stava, e a quello inginocchiatosi, con molte lacrime prese a dire: – O signore mio Iesu Cristo [….] io te supplico anche per le mirabile stimate che donasti al nostro serafico Francesco, te piaccia mostrare evidente miracolo […] per modo tale che s’io dico la bugia, mandame subito la tua ira addosso, e fammi qui de presente morire; e s’io dico la verità, che questo sia il vero braccio de misser san Luca […] manda la tua sentenzia sopra di lui, per modo tale che, né con lingua né con mani possa dire la colpa sua.’  E non appena pronunciate queste parole fra Mariano cadde a terra ritorcendosi, con gli occhi stravolti, senza poter articolare una sola sillaba. Visto il miracolo, davanti al popolo sbalordito, fece Girolamo prendere fra Mariano, che sembrava morto, e supplicò Cristo e San Luca di farlo ritornare in vita, facendogli bere un bicchiere d’acqua con dentro un pezzetto di unghia presa della miracolosa mano.

E operato anche questo miracolo, fra Girolamo ‘comandò che la reliquia dinanzi l’altare fosse collocata, dintorno a la quale tutt’i soi compagni fece assettare, chi con torce in mano accese, chi a far fare loco affaticati, a tal che ognuno senza impedimento orare e offerire al santo braccio a suo piacere potesse. Ove oltre la molta quantità di moneta, che con la maggior calca che fosse vista mai vi fu offerta, vi furno tali donne da sfrenata carità assaglite, che da dosso se spiccavano e perle e argento e altre care gioie, e le offerivano al santo evangelista’.

Il giorno dopo da Sorrento partirono per la Calabria, ‘dove con nuove e diverse maniere de inganni impiutese ben le tasche de moneta, e traversato ultimamente dentro e fuori Italia, e col favore del miracoloso braccio de loro innumerabili inganni, ricchissimi a Spoleto se ne ritornorno. Dove parendo loro stare in sul securo, fra Ieronimo per mezzo d’un signor cardinale comparatose un vescovato non per simonia ma, secondo la nuova intelligenzia, per procurazione, quivi insiemi col suo fra Mariano poltronizzando, fin che vissero, bon tempo se donarono.

E così finisce la novella, ma non senza un commento finale di Masuccio che fra l’altro ci ricorda che ‘persona alcuna, per virtuosa che sia, né per avere negli studii o nel seguire la romana corte gli anni e le facoltà consumate, possa mai pervenire ad alcun grado di prelatura, si non col favore del maestro della zecca’. Aggiungendo che ‘frati e preiti e monaci […] che a tuti sceltissimi vizii appropriamo il suo nome con qualche notivole parola de la Scrittura Sacra e così, mangiando a le spese del Crocefisso e poltronizzando, anzi puro a le nostre, se fanno beffe de Dio e degli uomini’.

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Masuccio Salernitano. Il Novellino. A cura di Alfredo Mauro. Bari 1940 http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_3/t56.pdf

Consulta anche l’edizione del 1874 commentata da Luigi Settembrini, con la scansione delle pagine allegata. https://it.wikisource.org/wiki/Indice:Il_Novellino_di_Masuccio_Salernitano.djvu