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Antonio de Pereda

Antonio de Pereda (1611-1678) – Sant’Antonio con Cristo (part.)

E’ da tutti conosciuto come Sant’Antonio di Padova, ma né era di Padova né era italiano. Infatti, Fernando Martins de Bulho͂es (questo era il suo vero nome) era portoghese, nato a Lisbona nel 1195 e morto a Padova (questo sì), nel 1231, il 13 giugno. In italiano Bulho͂es viene tradotto Buglione, e pare che fosse discendente dal famoso Goffredo di Buglione, quello delle crociate. Ma questo non aggiunge né toglie niente al suo personaggio. A Padova è chiamato semplicemente ‘Il Santo’.

Basilica Sant'antonio

Basilica di Sant’Antonio – Padova

Riassumendo moltissimo la sua vita diremo che all’età di 15 anni entra a far parte dei Canonici Regolari della Santa Croce, prima a Lisbona, poi a Coimbra e nel 1220 si fa frate francescano. Nel 1221, ad Assisi, conosce Francesco. Nel 1221 va con Graziano da Bagnacavallo a Montepaolo (Forlí) dove aveva anche una grotta, che si conserva ancora oggi, per i suoi ritiri spirituali. Da lì comincia a viaggiare e a predicare. Date le sue doti oratorie e di grande predicatore, è inviato in Francia per contrastare la diffusione dei catari. Era infatti chiamato ‘martello degli eretici’ (malleus hereticorum). Giunge in Francia ne 1224 e vi rimane un paio di anni fino alla morte de Francesco di Assisi, nel 1226. Nel 1227, a 32 anni, è nominato ministro provinciale per l’Italia settentrionale, la seconda carica più importante nell’ordine dei francescani. I seguenti quattro anni, ossia fino alla sua morte (avvenuta a 36), sono i più importanti per la sua eredità spirituale. Sceglie il convento di Padova come sua residenza fissa. Qui porta a termine la sua opera scritta più famosa: I ‘Sermoni’, un’opera dottrinaria per la quale sarà dichiarato dottore della chiesa nel 1946. La massa lo segue nelle sue prediche e lui dedica anche molto tempo al confessionario ed al digiuno. La gente che affluisce ad ascoltarlo è così tanta da non entrare neanche nelle piazze per cui deve predicare fuori città, in mezzo ai prati.

Donatello,_miracolo_della mula, basilica

Donatello (1386-1466) – Miracolo della mula – Padova, Basilica di Sant’Antonio

In questo periodo Antonio deve viaggiare a Roma in due occasioni per cercare di redimere con il papa Gregorio IX le dispute sorte all’interno dell’ordine francescano fra l’ala conservatrice e quella riformista. A Roma le prediche di Antonio piacciono moltissimo e così è chiamato dal pontefice ‘Arca del Testamento’, ‘Peritissimo esegeta’, ‘Esimio teologo’. Si scagliava spesso contro l’orgoglio e la lussuria, l’avarizia e l’usura di cui era acerrimo nemico. A Roma le folle che assistono alle prediche sono moltitudinarie e cosmopolite, ma ognuno lo sente parlare nella propria lingua. Nel 1231 gli viene assegnato un gruppo di guardie del corpo che formassero un cordone di sicurezza fra lui e la folla durante la sua predicazione. Afflitto da idropsia e asma a volte gli è difficile camminare. Muore il 13 giugno e per suo desiderio viene portato a Padova, al convento di Santa Maria Mater Domini e, poco tempo dopo, nel 1240 si iniziano i lavori di costruzione della nuova basilica, a lui dedicata dove viene traslato definitivamente nel 1263. E’ canonizzato nel 1232, solo un anno dopo la sua morte.

Tiziano, miracolo del piede riattaccato, Padova, Scuola del Santo

Tiziano (circa 1480-1576) – Miracolo del piede riattaccato – Padova, Scuola del Santo

Fin dal giorno dei funerali la tomba diviene meta di pellegrinaggi e di fedeli che chiedono miracoli, grazie e guarigioni, tanto che il flusso deve essere regolato, sia di giorno che di notte. Certo, perché Sant’Antonio di miracoli ne fece già molti da vivo: ben 53. Ma quelli del miracolo della mula, del piede riattaccato, del neonato che parla, del cuore dell’avaro, del bambino caduto nell’acqua bollente, della predica ai pesci, della visione, del salterio rubato e del bicchiere intatto sono i più famosi. I curiosi di sapere in che cosa sono consistiti possono consultare questo link. I suoi miracoli hanno anche ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello.

mento santantonio

Reliquiario con il Mento di Sant’Antonio

Quindi non per niente è considerato il santo più miracoloso. E non solo. Fa anche ritrovare gli oggetti perduti. Mia madre me lo diceva sempre; quando perdi qualcosa devi dire: “Sant’Antonio, vestito di velluto, fammi trovare [e qui si deve dire la cosa che cerchiamo] che ho perduto”. Vi garantisco che funziona, se si fa con fede e convinzione. E’ un santo famoso in tutto il mondo e molto venerato. E’ anche il santo taumaturgo. In Italia è patrono di ben cento località e sono molto numerose anche quelle fuori. A Pittsburgh, la cappella che più reliquie ha degli Stati Uniti (5.000) e di parte del mondo intero, è dedicata a lui1. Inoltre, nella stragrande maggioranza delle chiese, per lo meno in Italia, c’è sempre un’immagine (con o senza cappella) di questo santo, che è quella che più oboli riceve.

lingua

Lingua di Sant’Antonio

Ma siccome siamo su ‘Reliquiosamente’, dobbiamo parlare delle sue reliquie. Durante la ricognizione dei resti prima della traslazione alla basilica (ossia più di trent’anni dopo la sua morte), avrebbero trovato che la lingua era ancora intatta e rosea, come quella di una persona viva. E questa era precisamente la sua parte del suo corpo più significativa, strumento della sua parola eloquente e miracolosa. E’ conservata nella Cappella delle Reliquie o del Tesoro della basilica di Padova, in un reliquiario in argento dorato realizzato da un discepolo del Ghiberti. In questa cappella vi è anche quello a forma di libro contenente l’apparato vocale del santo, realizzato nel 1981 da Carlo Balljana2, e poi il suo famoso mento, oggetto di un furto nel 1991, e di cui parleremo più avanti, in un reliquiario a forma di busto realizzato nel 1349. Questa è la reliquia che viene portata in processione il 13 giugno, perché la lingua è considerata troppo preziosa e delicata per essere esposta a qualsiasi imprevisto. In quest’occasione tutta Padova si ferma. Altre reliquie esposte in questa cappella, in apposite teche, sono: il radio di Sant’Antonio, exvoto per la guarigione di Vittorio Amedeo di Savoia, in un reliquiario del 1672; macigno che serviva al santo da guanciale; reliquiario con la cute della testa; cilicio; altro frammento della cute della testa in un reliquiario a tempietto del 1433; lembo della tonaca; un dito, contenuto in un ostensorio; e i capelli. Il resto del corpo, oltre alle ceneri e l’abito, sono, in gran parte, in un’arca di vetro nella Cappella dell’Arca3, nella stessa basilica. Altre reliquie di Sant’Antonio possono essere trovate in altri luoghi, come per esempio a Zugliano (VI) o Afragola (NA). Quest’ultimo è il secondo luogo di culto (per importanza) dedicato al santo, ragion per cui è anche chiamato la Padova del Sud.

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Ostensione del 2010. Teca con le spoglie di Sant’Antonio, che è custodito nella Cappella dell’Arca

Il 10 ottobre 1991 un fatto scuote Padova e mette in un pugno il cuore di tutti i devoti di Sant’Antonio del mondo intero. Alle 18.20 tre banditi mascherati ed armati entrano nella basilica e rubano il Mento del Santo, immobilizzando e minacciando i fedeli presenti. Pochi minuti dopo fuggono a bordo di un’auto guidata da un complice. Ne parlano tutti i giornali locali e nazionali4 e il fatto addirittura serve da spunto per il film tragicomico di Antonio Mazzacurati ‘La lingua del Santo’ uscito nell’anno 2000.

furto il mattinoIl mandante di questo furto è niente di meno che Felice Maniero, chiamato anche ‘Faccia d’Angelo’, il capo della mala del Brenta. L’intenzione era di utilizzare la reliquia come oggetto di scambio per costringere lo Stato a liberare il cugino Giulio e a revocare la misura di sorveglianza a suo carico. E qui mi sembra di tornare indietro nei secoli. Di nuovo una reliquia associata a un furto a fini utilitaristici, strategici o politici. Mi viene in mente il furto delle reliquie di San Marco, quelle di San Benedetto, di San Nicola, la Lancia di Longino come moneta di scambio, il contrabbando e furto di reliquie nell’impero carolongio…. e tanti altri casi ancora, anche recenti. Il ‘boss’ ci aveva visto bene. Cosa c’è di più importante per milioni di pie persone? Però le cose non andarono proprio come lui avrebbe sperato. Tanto per cominciare i banditi si sbagliarono di reliquia. Avrebbero dovuto rubare la lingua (che ovviamente vale di più). Ma giustamente, e come persone che forse in chiesa ci vanno poco, credettero che la lingua dovevano cercarla dentro la bocca…. così per lo meno dichiarò lo stesso mandante in una intervista per il Messaggero di Sant’Antonio in occasione del ventesimo anno del furto. La reliquia venne ritrovata settantun giorni dopo presso l’aeroporto di Fiumicino (Roma) pronta per essere spedita in Sudamerica. E fino a qui la versione ufficiale.

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Felice Maniero, chiamato anche ‘Faccia d’Angelo’

Ma la storia vera non è questa. Quella reale, anche se un po’ romanzata, e che fa anche pensare che sotto sotto c’è stato lo zampino di Sant’Antonio, è invece la seguente. La reliquia in realtà non era mai uscita dal Veneto. Venne sepolta, subito dopo il furto, lungo un argine nella zona del Brenta e poi fatta trovare in un cassonetto a Ponte di Brenta, periferia nordest di Padova. Si dice che i banditi non fossero riusciti a portare fuori dal territorio della città il prezioso reliquiario, come se una forza misteriosa lo impedisse. Pare anche che la macchina fosse entrata in avaria e non si riuscisse a riprendere la marcia. E addirittura si diceva che una ‘misteriosa voce’ intimava i quattro malviventi di non compiere questo crimine e di riportare alla città di Padova il suo tesoro più prezioso. Ma se questo non bastasse, diremo anche che Maniero cambiò vita. Si pentì nel ’95, collaborò con la polizia, scontò la sua pena e dal 2010 è libero. ‘Troppa grazia, Sant’Antonio’, come si suol dire!!!

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1– Vedi il mio articolo ‘ La cappella dalle 5.000 reliquie‘;  2 – Carlo Balljana è anche autore del reliquiario a forma di libro con il sangue di Giovanni Paolo II, vedi mio articolo ‘Le reliquie di Giovanni Paolo II‘; 3 – Vedi la Cappella dell’Arca in diretto ripresa con una webcam 24 ore; 4 – Per esempio, Il Mattino di Padova del 27 Settembre 2011.