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Las santas imágenes aquerópitas (2) La Verónica: pero ¿cuántas hay? – (Segunda parte) ‘La Santa Faz’ y el ‘Santo Rostro’ Puedes leer este artículo en español abriendo este enlace
Come dicevamo nell’articolo precedente sulle immagini della Veronica, in Spagna ce ne sono due che dicono di essere l’autentico Velo della Veronica e che godono di molta venerazione. Queste due immagini hanno una storia in comune: quando Veronica tornò a casa con il velo macchiato con il sangue del volto di Cristo, si accorse che il panno era piegato in tre, e l’immagine non solo rimase impressa sulla parte superiore, ma anche sulle altre due parti piegate sotto. La prima sarebbe quella che è a Roma e le altre due sarebbero quelle di Alicante e di Jaén. Stiamo parlando della ‘Santa Faz’ e del ‘Santo Rostro’. Si tratterebbe quindi di ‘un’aggiunta’ al conosciuto episodio della Veronica, peraltro tradizione del XII secolo.
La menzione del volto triplicato viene fatta per prima volta nel 1390 da Jean de Preis nel libro Mureurs des Histors, dove narra che Veronica (identificata come l’emorroissa, miracolata da Gesù) prima della passione di Cristo, volesse avere un suo ricordo. Per questo portò il fazzoletto da un pittore per far dipingere la sua immagine. Però le venne incontro Gesù che prese il velo, lo piegò in tre e lo avvicinò sul suo volto che rimase impresso sulle tre parti. Questa leggenda si diffuse grazie al gesuita spagnolo Salmerón.
L’immagine che corrisponde alla ‘Santa Faz’ di Alicante insieme ad altre reliquie sarebbe rimasta a Gerusalemme fino al VII secolo, e quando cominciarono le prime invasioni mussulmane fu traslata all’isola di Cipro, dove rimase per alcuni anni, e fu poi portata a Costantinopoli. Nel 1453, dovuto all’assedio di Costantinopoli da parte dei turchi, fu portata a Roma e consegnata al papa Niccolò V.
Nel 1478 ci fu a Venezia un’epidemia di peste ed i veneziani chiesero al papa una reliquia che potesse aiutarli a scongiurare questo terribile flagello. E così, papa Sisto IV mandò quest’immagine con il proposito di farla mostrare ai malati. L’immagine poi doveva essere riportata a Roma subito dopo la fine dell’epidemia ma veneziani non si decisero a restituirla prima del 1484. Però in quell’anno morì il papa e così il cardinale che era incaricato di restituirla, e che era di ritorno a Roma, la tenne per sé.
Più tarde il sacerdote spagnolo Mosén Pedro Mena, in riconoscenza dei servizi prestati a questo cardinale, ricevette da questi la preziosa reliquia che la portò nella sua città (San Juan, Alicante). Ma quando arrivò a casa se ne dimenticò e la lasciò in fondo ad un baule. Però l’immagine appariva sempre nella parte superiore dello stesso e per questo motivo, dovuto anche alla terribile siccità che c’era in quel momento, decise di prendere l’immagine e portarla in processione, nel 1489, per chiedere la pioggia. Ad un certo punto il padre che portava l’immagine non poté più sostenerla, come se fosse un gran peso, e non poteva neanche più camminare. Si rese conto che cadeva una lacrima dal viso impresso sul telo che si fermò a metà della guancia e crebbe in modo tale da poter essere vista anche da lontano. Dopo questo vennero altri miracoli, come quello delle tre immagini quando, durante una celebrazione eucaristica, il sacerdote cominciò a levitare, nel cielo apparvero altre due immagini uguali alla ‘Santa Faz’ e subito dopo cadde una gran pioggia.
L’immagine originale era impressa su un telo di lino molto fino, con macchie che sembravano sangue che rappresentavano le guance, la fronte e la barba. Anni più tardi furono ripassate con vernice rossa e vennerero ritoccate le sopracciglia, le labbra e parte della barba. Per devozione, durante i secoli molti piccoli pezzettini vennero asportati e questo fece ridurre poco a poco la sua grandezza. Per questo motivo la ‘Santa Faz’ fu depositata in un reliquiario con un’immagine della Vergine Maria sul dorso.
Sul luogo del primo miracolo venne costruito il monastero della ‘Santa Faz’, di clarisse di clausura. Nel 1889, nel IV centenario, venne aperto il reliquiario e così venne anche misurata l’immagine, che ha una grandezza di circa 70 cm2. Nel pellegrinaggio annuale viene visitata da circa 250.000 pellegrini.
Il ‘SantoRostro’ di Jaén è custodito in una cassaforte nella cappella maggiore della cattedrale dell’omonima città, a sua volta in un’arca di argento di 40 cm di larghezza, 63,5 di altezza e 25,55 di profondità, chiusa da 7 chiavi. L’immagine è adagiata su una tavola di 22 cm x 30 incorniciata da una filigrana d’argento e pietre preziose, realizzata nel 1940, con 191 rubini, 210 smeraldi e 193 diamanti e con un nodo di brillanti nella parte superiore.
Le teorie sull’origine di quest’immagine sono diverse: una copia di quella di Roma, o dipinta da San Luca, o un’ immagine acheropita portata da Sant’ Eufrasio -uno degli evangelizzatori dell’Andalusia (secolo I)-, o dal re Fernando il Santo, che conquistò Jaén nel 1246.
La cosa certa è che la presenza del Santo Rostro a Jaén è documentata solo dal secolo XIV (1368-1383) epoca in cui era a capo della diocesi il vescovo Nicolás de Biedma, essendo una donazione di questo vescovo alla città, avendola a sua volta ricevuta dal papa Gregorio XI nel 1376.
I re di Spagna, da Filippo II (1570) fino a Juan Carlos (1980) si sono inginocchiati davanti a quest’immagine, come anche numerosi papi. Viene esposta ogni venerdì, e alla fine della processione del Corpus Domini dal balcone della cattedrale.
Queste due immagini, che sono considerate dagli studiosi copie e non vere acheropite, sono più antiche delle copie descritte nel precedente articolo. Però non sappiamo esattamente quando, dove e chi fece queste copie. Se le confrontiamo con quelle della Veronica fatte nel XVII secolo da Pietro Strozzi, ci rendiamo conto immediatamente che il modello a cui si sono ispirate (o che hanno copiato) non è lo stesso. Una delle differenze più evidenti sono gli occhi. In queste due sono aperti. La tipologia della ‘Santa Faz’ e del ‘Santo Rostro’ è più assimilabile al ‘Mandylion’ o all’Acheropita del Salvatore (delle quali parleremo in prossimi articoli) che alla Veronica, soprattutto il ‘Santo Rostro’ di Jaén.
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Per saperne di più: 1.- M. Hesemann, Testimoni del Golgota, Cinisello Balsamo 2003 – 2.- Veronicaroute.com – 3.- M. Martínez López, El monasterio de la Santa Verónica de Alicante, Alicante 2003 4.- Rohualt de Fleury, Memoires sur les Instruments de la passion de N.-S.J.-C. Paris 1870
Consulta anche i miei altri articoli sulle altre acheropite: la Veronica, il Mandylion di Edessa, l’Acheropita del Salvatore , Nostra Signora di Guadalupe, I Volti Santi di Lucca e Sansepolcro e Maria Santissima Achiropita di Rossano
Salve, mi sei stata segnalata da una tua amica…
Sì, aveva ragione: questo tuo spazio è ricco.
Le immagini non realizzate da mano umana mi han sempre affascinato.
Grazie, Marzia. Sì, è un argomento affascinante ed anche un po’ lungo da trattare. Per questo l’ho diviso in cinque o sei parti (pubblicate due).
Hai visto cara Nicoletta? Ora hai una nuova interessata : Marzia. Ho segnalato io il tuo blog, troppo bello per non parlarne a chi è attratto da argomenti così vari e interessanti come lo sono i tuoi. Sono rimasta colpita dai ritocchi con la vernice rossa. In quel caso non si va ad intaccare qualcosa che così perderebbe un po’ di significato? Cosa ne pensi? Bacioni. Isabella
Carissima, avevo sospettato che fossi stata tu. Quanto ai ritocchi, pensa che in determinate epoche non si facevano tanti scrupoli come adesso e l’arte del restauro praticamente non esisteva. L’immagine si sarebbe deteriorata e quindi bisognava ripararla in qualche modo. E perché non aggiungere un ‘tocco’ artistico del restauratore? Meglio ancora! Pensa quante opere d’arte nella storia hanno subito lo stesso destino, o ancora peggio. Un bacione
Come al solito dici il vero. Non ci avevo pensato. Grazie della tua preziosa consulenza. Un bacione e goditi il fresco delle Asturie. Isabella
grazie.
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Interessantissimo anche questo post! Non sapevo dell’esistenza delle sante immagini acheropite… La mia curiosità è ancora più accentuata poiché qui in Puglia sono diffuse le maschere apotropaiche, se ne trovano infatti molte anche sugli edifici sacri!
Anche lo studio delle maschere apotropaiche mi sembra interessantissimo, sia dal punto di vista artistico che storico e sociale. E’ un fenomeno diffuso in molti luoghi in Italia e penso anche all’estero. Le immagini acheropite non sono così tante… Grazie per il tuo interesse.
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