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D10S viene dall’unione di D di Diego + il 10, il numero della maglia che indossava nel campo quando giocava da dio.

Un idolo, addirittura un dio per milioni di persone che lo adoravano e continuano ad adorarlo, soprattutto in Argentina e a Napoli. Questo è Maradona. Pochi anni di gloria sono bastati per elevare agli altari questo personaggio, la cui vita sregolata non ha intaccato minimamente il numero del suo stuolo di ammiratori che gli hanno sempre perdonato tutto.

E gli ingredienti necessari per la creazione di un dio, addirittura di una religione, li ha tutti: essere considerato un essere superiore che fa miracoli, avere un nutrito gruppo di fedeli che lo venerano ed adorano e avere una chiesa propria, con seguaci e liturgia e, per conseguenza, anche le sue reliquie hanno un valore.

Il 30 ottobre (giorno della nascita di Maradona) del 1998 un gruppo di tifosi di Rosario (Argentina), fondò la Chiesa Maradoniana. Quest’iniziativa, che nacque un po’ per scherzo e un po’ sul serio per polarizzare l’adorazione al loro idolo, cominciò ad avere molti seguaci, tanto che nel 2001 cominciarono a celebrare messe. I loro fondatori assicurano che questa chiesa potrebbe avere, in tutto il mondo, circa 500.000 seguaci, che loro chiamano apostoli. “Il pallone non si macchia” queste sono le famose parole pronunciate da Maradona quando si congedò dal calcio, e questo è il primo dei dieci comandamenti della Chiesa Maradoniana che, oltre ai comandamenti, preghiere ad hoc o riti di battesimo, ha le sue particolari ricorrenze: 29 e 30 ottobre, notte e giorno di Natale; 22 giugno, Pasqua, anniversario della mitica partita Argentina-Inghilterra (2-1) nei Mondiali del Messico del 1986, in cui Maradona segnò due gol, uno chiamato ‘La mano di Dio’ e l’altro ‘il gol del secolo’, che lo fecero diventare una leggenda. A questo calendario verrà sicuramente aggiunta un’altra data, il 25 novembre, quella della sua morte, a 60 anni di età.

Una leggenda, dicevamo, più evidente che mai il giorno del suo funerale. L’Argentina dichiara tre giorni di lutto ed il corpo di Maradona viene esposto niente di meno che nella Casa Rosada, la sede della Presidenza della Repubblica. Circa un milione furono le persone che vollero dare il loro ultimo addio a questo eroe nazionale, a questa divinità. Furono talmente tanti che per la strada ci furono vari scontri con la polizia e all’interno della Casa Rosada dovettero spostare il feretro in un altro ambiente più ‘protetto’ per evitare danni causati dalla ressa formata sia dalle persone entrate dalla porta normale che da quelle che invadevano l’edificio penetrando da altre entrate.

Anche l’amore dei napoletani per Maradona non è da meno. Atterrò nella città partenopea un 5 di luglio del 1984, e venne accolto come il Messia del calcio. Quel giorno cominciò la storia d’amore che sarebbe durata non solo durante i sette anni di permanenza nel Napoli, ma per tutta la vita. I napoletani non dimenticheranno mai questi anni di gloria del Napoli (due Scudetti, gli unici, una Coppa Italia, una Supercoppa Italia, una coppa UEFA e 115 gol).

L’idolatria per Maradona è manifesta nelle strade della città: murales, foto, striscioni con frasi, statutine e tanti altri oggetti. E adesso, anche il nome dello stadio, che dal giorno successivo alla sua morte, mentre si annunciava il lutto cittadino, ha cambiato nome: da San Paolo a Diego Armando Maradona. Nei pressi dello stadio uno striscione recitava: ’O re immortale, il tuo vessillo mai smetterà di sventolare’. Ed un altro: “Grazie per aver riscattato un popolo vessato dall’odio razziale. Hai portato la gloria di Napoli nel mondo. Eternamente grazie, leggenda”. E molte altre frasi come queste, che si sono aggiunte a quelle già presenti nella città da anni.

C’è anche l’altarino votivo, nel quale il pezzo forte è un capello del giocatore. Quest’altarino, inizialmente posto all’inizio di Via San Biagio dei Librai, adesso si trova nel vicino bar Nilo, dove venne spostato per salvaguardare la sua integrità, dopo aver constatato alcuni danni.

L’idea di creare un altarino dedicato a Maradona fu dello stesso proprietario del Bar Nilo, Bruno Alcidi. Questi ebbe la ‘fortuna’ di viaggiare sullo stesso aereo che da Milano portava a Napoli la squadra dopo la ‘funesta’ partita con il Milan (perse il Napoli 3 a 0), nel febbraio del 1990. Arrivati a Napoli fecero scendere prima i giocatori e poi le altre persone. E Alcidi si rese conto che nel poggiatesta del sedile che aveva occupato Maradona c’era un capello di proprietà del calciatore. Lo raccolse e se lo portò a casa, avvolto nel cellophan di un pacchetto di sigarette. Il capello venne incorniciato e posto al centro di un’edicola che, con l’andare del tempo, veniva ingrandita per dare spazio ad altri oggetti. Adesso, nel bar, le persone che entrano baciano la foto e si fanno il segno della croce. I turisti fanno le foto e poi si prendono un caffè, ubbidendo al cartello, in varie lingue, che è sotto l’altarino, per evitare che la macchina fotografica possa cader loro di mano.

Adesso la reliquia non è più in un quadro ma in una scatoletta a forma di cubo, appesa al centro dell’edicola. Ma la male lingue dicono che quello che è dentro la scatoletta è un altro capello, perché quello autentico è in salvo a casa di Alcidi.

L’amore di Napoli (e non del Napoli) con Maradona oltrepassa il calcio. Questo giocatore di umili origini sceglie una delle città più bistrattate dell’Italia e la porta alla gloria, capendo a perfezione lo spirito napoletano. Lui stesso una volta disse: “Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires”. Non ha mai tradito la città che tanto lo amava, e non ha accettato favolose offerte per giocare in altre squadre, come quella fatta da Berlusconi, per guadagnare il doppio. E anche per questo, i napoletani gli sono molto grati.

Possiamo considerarlo, adesso che è morto, il secondo patrono della città, dopo San Gennaro?