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El Titulus Crucis                                                                                     Puedes leer este artículo en español abriendo este enlace

‘Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum’, questo è il significato della sigla INRI apposta sul crocifisso di Gesù, ossia ‘Gesù Nazareno Re dei Giudei’. Questo Gesù diceva di essere e questa fu la causa della sua condanna, per oltraggio a chi regnava, una condanna per lesa maestà. Lo possiamo leggere nel Vangelo di San Giovanni:

“Pilato intanto fece scrivere anche il titolo, che diceva la causa della condanna, e lo fece porre sulla croce. Vi era scritto: ‘Gesù Nazareno, Re dei Giudei’. Or molti dei Giudei lessero quest’iscrizione, essendo il luogo dove fu crocifisso Gesù, vicino alla città. Ed era scritto in ebraico, in latino e in greco. Dissero dunque i grandi Sacerdoti dei Giudei a Pilato: ‘Non scrivere: Re dei Giudei; ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei’. Rispose Pilato: ‘Quel che ho scritto, ho scritto’”. (Gv 19, 19-22)

Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, Roma

Questa targa è conosciuta con il nome di ‘Titulus Crucis’ e, secondo la tradizione, fu trovata da Sant’Elena insieme alla Vera Croce. Una reliquia importantissima, senza dubbio, della quale ne resta solo una parte, e della quale è molto difficile provare la sua autenticità. Si trova a Roma, nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, dov’era l’antico palazzo dell’imperatrice Elena e dove sono conservate altre importanti reliquie della passione, portate dalla stessa imperatrice, come spiegato in un altro mio articolo sul ritrovamento della Vera Croce.

Cappella delle Reliquie. Basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Al fondo, la vetrina con le reliquie della passione

Reliquie della passione di Cristo. Cappella delle Reliquie

La teoria secondo la quale la tavoletta fu portata a Roma Sant’Elena, dice anche che l’imperatrice, quando la trovò insieme alle tre croci ed ai chiodi, la divise in due (o forse in tre). Una la portò con sé a Roma (la parte destra) e l’altra la lasció a Gerusalemme.

Maria Luisa Rigato, teologa e cattedratica dell’Università Gregoriana di Roma e profondamente convinta dell’autenticità di questo reperto, sostiene invece che la reliquia non fu portata a Roma da Sant’Elena ma da Gregorio Magno verso la fine del VI secolo. Secondo questa teoria il Titulus sarebbe stato trovato nel sepolcro di Gesù insieme alla Sacra Sindone, e non nel Calvario, perché riportava la causa della sua condanna1. Quindi mette anche in dubbio la teoria della divisione in due (o in tre) della tavoletta, secondo la tradizione della Chiesa.

Ci sono testimonianze dei primi pellegrini in Terra Santa che confermano l’esistenza, in un periodo determinato, del Titulus a Gerusalemme. Così la pellegrina Egeria, nel 383 presenziò il rito della venerazione del Titulus:

 “ (..) e viene portata una cassetta argentea dorata, nella quale c’è il santo legno della croce, viene aperta e tirato fuori, viene posto sulla tavola sia il legno della croce che il titolo”. (Egeria, Itinerarium, 37,1)

mentre Antonio da Piacenza, nel 570 lo descrive, come testimone oculare, avente la seguente scritta “Hic est rex Iudeorum” (Costui è il re dei giudei).

“Dal Golgota fino a dove fu ritrovata la croce sono cinquanta passi. Nella basilica adiacente di Costantino presso il monumento o Golgota, nell’atrio della basilica medesima, vi è una stanza, dove si trova custodito/nascosto il legno della croce, che abbiamo adorato e baciato. Anche il titolo infatti, che era stato posto presso il capo del Signore, sul quale sta scritto: “Costui è il re dei Giudei”, vidi, tenni nella mia mano e baciai. Il legno della croce è di noce”. P. Geyer, Itinera Hierosolimitana, 172

In nessuna di queste due testimonianze si accenna che il Titulus fosse intero o meno, ed in quella di Antonio da Piacenza addirittura è diverso il testo dell’iscrizione, che invece coincide con le parole del Vangelo di Luca:

“C’era anche una scritta, sopra il suo capo, (in latino, in greco ed in ebraico)2: ‘Questi è il Re dei Giudei’” (Lc 23, 38)

Però Giovanni fu testimone oculare della crocifissione di Gesù.

Ci sono altre testimonianze che parlano dell’esistenza di un Titulus Crucis a Parigi nel secolo XIII. Sappiamo che il re di Francia Luigi IX (1214-1270) comprò al re latino di Costantinopoli, Baldovino II, che si trovava in grosse difficoltà economiche, delle importantissime reliquie presenti nel palazzo di Bucoleon, fra cui la famosa Corona di Spine, di cui ho trattato in un altro mio articolo. Guillaume Durande (1230-1296), vescovo di Mende, conferma l’esistenza del Titulus nella Sainte Chapelle e scrive:

Tabulam in qua Pilatus scripsit: Iesus Nazarenus rex Iudeorum, quan vidimus Parisiis in capella illustris regis francorum…”3 (Tavola in cui Pilato scrisse: Gesù Nazareno Re dei Giudei, che ho visto a Parigi nella cappella dell’illustre re dei Franchi…).

Neanche in questo caso vi è un’indicazione chiara che fosse solo una parte della tavoletta. Comunque non lo sapremo mai perché questa reliquia è andata persa, probabilmente a causa della Rivoluzione Francese.

Tornando alla reliquia di Santa Croce in Gerusalemme, fu probabilmente nascosta nel V o VI secolo per proteggerla dalle invasioni barbariche e fu definitivamente riscoperta e portata alla luce il 1º febbraio 1492 durante i lavori di riparazione della basilica commissionati dal Cardinal Mendoza, cardinale di Toledo, coincidendo con la presa di Granada da parte dei re Cattolici, che poneva fine alla ‘Reconquista’.

Mattonella sotto la quale era nascosto il Titulus Crucis, ancora visibile

Nella parte superiore dell’arco trionfale della basilica, sotto uno strato di intonaco gli operai trovarono una mattonella con l’iscrizione Titulus Crucis. Il luogo del ritrovamento è ancora visibile. Questa mattonella chiudeva una nicchia in cui era nascosta una cassetta di piombo nella quale era custodita una tavoletta, di 25 cm x 14 e con uno spessore di 2,6 cm, di legno di noce. La sistemazione della reliquia in questa ubicazione si deve a papa Lucio II (1144-1145) che fece costruire il transetto di cui l’arco trionfale fa parte. La reliquia venne ‘rinvenuta’ durante i lavori di ristrutturazione della basilica. E perché la fece sistemare in questo luogo? Ossia, venne nascosta di nuovo?

Titulus Crucis fuori dalla sua teca

Anche se la parte destra e quella superiore sono molto deteriorate si può leggere chiaramente la parte iniziale delle iscrizioni in greco e latino mentre dell’iscrizione superiore, in ebraico, più logora, solo tre lettere sono leggibili. Le parole sono scritte da destra verso sinistra, secondo la tradizione semitica, e le lettere sono rovesciate, come se fossero viste in uno specchio. Partendo dall’ipotesi che questa sia la metà della reliquia originale, le sua misura doveva essere di 50 cm. Questa, grazie alla custodia della cassetta di piombo, ha uno stato di conservazione accettabile. Sono state anche riscontrate tracce di calce e, nelle scanalature dei caratteri, tracce di color nero. Nella parte in latino, possiamo leggere: I NAZARINUS R, e in quella greca IS NAZARENUS B che andrebbero completati rispettivamente con EX IUDAEORUM e ASILEOS TON IUDAION, dove della parola “re”, (rex, basileos) rimane solo la prima lettera. L’iniziale “I, IS” sarebbe l’abbreviazione di Iesus, nome estremamente diffuso in Galilea, motivo per il quale non l’avrebbero scritto per esteso.

[ΝΩΙΑΔΥΟΙ ΝΩΤ CΥΕΛΙCΑ]Β CΥΝΕΡΑΖΑΝ CΙ
[MVROEADVI XE]R SVNIRAZAN.I

Ipotetica ricostruzione della scritta del Titulus

L’uso di tavolette di questo tipo nelle esecuzioni, per far conoscere al popolo il motivo della condanna, era una prassi normale. A volte venivano appese al collo del condannato prima del supplizio o venivano sostenute da una persona che lo precedeva sul cammino dell’esecuzione, una sorta di banditore che annunciava anche il nome del criminale. Queste tavolette erano normalmente spalmate di uno strato di calce sul quale l’iscrizione veniva incisa, o scritta, in colore rosso o nero.

La reliquia fu sottoposta recentemente all’esame del Carbonio 14 ed i risultati, pubblicati nel 2002, ci dicono che si tratta di un reperto databile fra il 980 ed il 1150.

Però i sostenitori della sua autencità dicono che le differenze che si possono notare fra la descrizione di Giovanni e la reliquia sono buoni motivi per pensare che un falsificatore medievale non avrebbe apportato. E’ vero che il Titulus reca una parte dell’iscrizione nelle tre lingue ma in ordine diverso da quello descritto da Giovanni, ossia in ebraico, greco e latino (e non ebraico, latino e greco come dice Giovanni). Nel testo latino è riportata la versione “Nazarinus” anziché “Nazarenus“. “Nazarinus” non è proprio del latino della vulgata (dal IV sec. d.C. in poi) ma appartiene al latino classico. Alcuni sostengono che sia un errore di chi ha scritto il titulus, altri invece  propendono per una forma più arcaica per indicare la provenienza. Queste anomalie sono considerate da alcuni indizi di autenticità. Le foto dell’iscrizione furono fatte esaminare da diversi paleografi che confermarono che le lettere sono compatibili con quelle usate nel I secolo. Per cui questo porterebbe a concludere che se non siamo in possesso dell’originale, per lo meno potrebbe trattarsi di una copia fedele dell’originale, e non di un falso. Un ipotetico falsario si sarebbe verosimilmente attenuto più fedelmente alla descrizione del vangelo, difficilmente avrebbe usato una scrittura retrograda o prodotto imitazioni paleograficamente verosimili.

Anche se per molti i risultati dell’analisi del Carbonio 14 non sono sempre affidabili, e per questo suscitano molte reticenze, è anche vero che ci sono molte lacune dal punto di vista documentale, o testimonianze ambigue, che non avallano sufficientemente la teoria dell’autenticità. Infatti, proprio per queste evidenze molti, volendo scartare l’ipotesi di un falso, sostengono l’ipotesi della copia… Questo significa che c’è ancora molto da indagare e studiare per poter arrivare ad una conclusione più affidabile.

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1.- Maria Luisa Rigato. INRI. Il titolo della croce. Bologna 2010       2.- Nell’edizione del 1963 di E. Paoline, appare il riferimento alle lingue in cui era scritta la frase, soppresso poi in edizioni posteriori dalla CEI.        3.- Tratto da “Rational ou Manuel des divins offices”  – livre VI