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Le catacombe (5): Le catacombe di Roma

11 giovedì Set 2025

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Arte, Reliquie, Storia

≈ 6 commenti

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Catacombe cristiane, Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, Catacombe di Domitilla, Catacombe di Priscilla, Catacombe di San Callisto, Catacombe di San Sebastiano, Catacombe di Sant’Agnese, Catacombe di Vigna Randanini, Catacombe ebraiche, Ipogei degli Aureli, Ipogeo di Via Dino Compagni, Ipogeo di Via Livenza

– Tre giovani nella fornace. Cappella greca, II secolo – Catacombe di Priscilla

Nel sottosuolo di Roma esistono una sessantina di catacombe, delle quali la grandissima maggioranza cristiane. Nientedimeno che 150 – 170 km di gallerie distribuite su piú livelli, fino a 4 o 5 in alcuni casi. Il periodo di utilizzo fu dal II al V secolo.

Quelle di certa o probabile attribuzione alla comunità cristiana rappresentano circa il 90% del totale e sono poste sotto la custodia e l’autorità della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, in ottemperanza a quanto stabilito nel 1929 dai Patti Lateranensi tra lo Stato Italiano e la Santa Sede. Solo poche sono aperte al pubblico. Si svilupparono lungo le principali vie consolari, fuori le mura, secondo le consuetudini e le leggi che imponevano, per motivi igienici, di seppellire all’esterno delle aree abitate.

È importante tenere presente che le catacombe non presentano uniformità né nelle dimensioni né nella morfologia, poiché queste caratteristiche sono soprattutto condizionate dalle diverse fasi del loro sviluppo: le piú antiche hanno ben poco in comune con le ampie catacombe che, tra il IV e il V secolo, divennero i cimiteri ufficiali della Chiesa di Roma.

Le cinque più importanti aperte al pubblico sono quelle di Priscilla, di San Callisto, di San Sebastiano, di Domitilla e di Sant’Agnese. Molto interessanti sono anche quelle dei Santi Marcellino e Pietro, aperte i fine settimana o su prenotazione. Un buon numero sono visitabili su richiesta per motivi di studio, molte altre, invece, sono inaccessibili.

Qui di seguito daremo alcuni cenni sulle sei citate, con il link al sito ufficiale di ciascuna di esse per maggiori approfondimenti.

Catacombe di Priscilla

– Criptoportico – Catacombe di Priscilla

Le catacombe di Priscilla, sulla via Salaria, sono il piú antico dei cimiteri cristiani di Roma. Devono il nome a una ricca romana che offrí terreni alla comunità cristiana. Sono famose perché albergano, fra altre importanti pitture, la piú antica immagine della Vergina Maria un affesco della prima metà del III secolo che raffigura la Vergine con il bambino, con vicino un profeta (Balaam o forse Isaia) che indica una stella. Tre ipogei anteriori alla liberalizzazione del culto formano il nucleo primitivo di questo cimitero, fra i quali la Cappella Greca (con diversi ornamenti e varie scene bibliche) e il Criptoportico. Quest’ultimo è costituito da una serie di pilastri che sorreggono delle volte a crociera che appartennero ad una villa del I o II secolo. Molto interessante è anche il ‘cubiculo della Velatio’ con diverse scene bibliche. Nel corso del IV secolo la catacomba assume grandi dimensioni e diviene uno dei più importanti cimiteri della comunità cristiana.

Catacombe di San Callisto

– Pane e pesce eucaristico. Cripta di Lucina, III secolo – Catacombe di San Callisto

Si trovano sulla Vía Appia Antica e sono tra le piú grandi e le piú importanti di Roma, con circa 20 km di gallerie su diversi livelli. In esse trovarono sepoltura decine di martiri e sedici pontefici.  Prendono nome dal diacono Callisto che, all’inizio del III secolo, fu preposto da Papa Zefirino all’amministrazione del cimitero e così le Catacombe di San Callisto divennero il cimitero ufficiale della Chiesa di Roma. La Cripta dei Papi è il luogo più sacro ed importante di queste catacombe e la cripta di Santa Cecilia, patrona della musica, forse il piú emotivo, con la famosa statua1, di Stefano Maderno del 1599, della giovane romana martirizzata.

Catacombe di San Sebastiano

– Statua di San Sebastiano, 1671 – Giuseppe Giorgetti – Basilica si San Sebastiano fuori le mura

Questo luogo, che era un avvallamento per estrarre pozzolana, ha dato origine al nome di ‘catacombe’2, che prima si chiamavano cimiteri. Inoltre, queste catacombe sono legate alla memoria dei santi Pietro e Paolo3, ricordati soprattutto dai circa seicento graffiti, risalenti alla seconda metà del III secolo, con invocazioni ai due apostoli e con ripetute memorie di refrigeria svolti in loro onore. Il nome viene dalla basilica, eretta sul cimitero, e ricorda il martirio di San Sebastiano. Il sepolcro del santo venne posizionato al centro di una grande cripta e diventò presto oggetto di venerazione. Le sue spoglie, dopo vari spostamenti, sono in una cappella della basilica, sotto l’altare a lui intitolato, dove possiamo anche ammirare la statua del suo corpo giacente realizzata nel 1671 da Giuseppe Giorgetti, uno dei migliori alunni di Bernini.

 Catacombe di Domitilla  

– Amore e Psyche. Ipogeo dei Flavi, III secolo, catacombe di Santa Domitilla

Si trovano nei pressi della via Ardeatina e prendono il nome da Flavia Domitilla, nipote dell’imperatore Domiziano, fine I secolo d.C., che cedette il terreno. È la più vasta di Roma insieme a quella di San Callisto. Nella sua fase iniziale accolse non solo sepolture cristiane, come lo dimostrano alcuni ipogei pagani, come l’ipogeo dei Flavi con il cubicolo di Amore e Psyche, del III secolo, con dipinti relativi a questo mito. I martiri associati a questa catacomba sono i soldati Nereo e Achilleo, ricordati nella basilica omonima4 e le cui reliquie si trovano nell’altare maggiore. Nella basilica, che forma un unico complesso con le catacombe, possiamo ammirare magnifici affreschi e mosaici.

Catacombe di Sant’Agnese   

– La magnifica chiesa paleocristiana di Sant’Agnese fuori le mura. Nel catino absidale il mosaico ricorda la martire e l’affresco al di sopra dell’arco una scena del suo martirio

Le catacombe di Sant’Agnese (nelle quali fu sepolta la martire omonima), risalgono agli inizi del III secolo. Si trovano sulla via Nomentana, zona che già dai secoli primo e secondo era ricca di sepolture. Inseme alla basilica del VII secolo semi-ipogea intitolata alla martire, al mausoleo di Santa Costanza (figlia di Costantino il grande), e i resti di una grande basilica cruciforme di epoca costantiniana (secolo IV) costituiscono un eccezionale complesso archeologico-artistico, chiamato Sant’Agnese fuori le Mura. Le reliquie della giovanissima martire si trovano in una cripta in corrispondenza con l’altare maggiore della basilica, nel cui catino absidale possiamo ammirare un magnifico mosaico dedicato alla martire. Queste catacombe sono piú raccolte, ma molto suggestive, e inoltre poco turistiche.

Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro 

– Daniele nella fossa dei leoni – III-IV sec. – Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro

Le Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro sulla Casilina, note anche come Catacombe di Sant’Elena o Catacombe di San Tiburzio, si svilupparono tra il II e il III secolo d.C. L’ingresso si trova presso la chiesa dei Santi Marcellino e Pietro ad Duas Lauros che, insieme al mausoleo di Sant’Elena5, ad una basilica imperiale oggi sepolta, e ai resti di un antico sepolcreto appartenuto agli Equites Singulares (la guardia del corpo personale dell’imperatore), formavano un complesso chiamato “Ad duas lauros” (“ai due allori”), forse a causa della presenza di due alberi di alloro nei pressi del sito. Oggi questo complesso monumentale, di straordinario valore, è composto dalle catacombe, dal mausoleo di San’Elena e dalla chiesa. I Ss. Marcellino e Pietro, l’uno presbitero e l’altro esorcista, furono martirizzati all’epoca delle persecuzioni di Diocleziano e poi sepolti in queste catacombe presso il martire Tiburzio, figlio di Cromazio prefetto di Roma. I corpi dei due santi rimasero nella cripta sotterranea fino all’anno 826, quando furono rimossi e trasportati in Germania, dove ancora si venerano.

Catacombe ebraiche e ipogei semipagani

– Lapide sepolcrale – Catacombe di Vigna Randanini

Le catacombe ebraiche a Roma rappresentano una testimonianza straordinaria della comunità ebraica nella città eterna.  Rispetto ad altre catacombe della città queste sono state scoperte relativamente di recente. Questi cimiteri hanno in generale la stessa forma di quelli cristiani. Si distinguono tuttavia per i simboli giudaici tracciati sulle lastre tombali (candelabro a sette braccia, corno dell’unzione, ecc.). Inoltre nella maggioranza dei casi i loculi, ossia le tombe, sono disposti in modo perpendicolare alla galleria. Le iscrizioni sono in greco e in latino; rarissime quelle in ebraico. Il periodo di utilizzo fu fra il II ed il IV secolo.

Fra queste, forse la piú importante è quella di Vigna Randanini6, nella zona dell’Appia Antica, scoperte verso la fine del XIX secolo. Sempre nella stessa zona, ci sono quelle di Vigna Cimarra. Altre catacombe si trovano nella zona della Via Casilina, nella Vigna Apolloni, e altre ancora sono quelle di Monteverde, vastissime, e poi quelle di villa Torlonia, in Via Nomentana, le ultime ad essere state scoperte (1919).

Vi sono anche importanti ed interessanti ipogei, generalmente privati, perché furono di proprietà di una o piú famiglie, con pitture che in alcuni casi sono ispirate all’ecletticismo delle varie sette gnostiche, alcune di queste molto potenti nella Roma del III secolo. Fra questi citiamo l’ipogeo degli Aureli, in Viale Manzoni. Poi quello di piú recente scoperta (1956) l’Ipogeo di via Dino Compagni, conosciuto anche come ‘Catacombe di Via Latina’, un complesso funerario sotterraneo di età tardo-antica, con decorazioni miste cristiane e pagane, con piú di 100 affreschi, chiamato anche la Sistina del sottosulo romano. Per ultimo, citeremo l’Ipogeo di Via Livenza, con interessantissimi affreschi con simbologie che rivelano sincretismo tra elementi cristiani e pagani.  

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1.- Si tratta di una copia. L’originale è nella basilica omonima a Trastevere così come le spoglie della martire, inizialmente sepolta nelle catacombe.

2.- La teoría piú accettata è che il termine derivi dal greco ‘katà’, sotto, presso, e ‘kymbe’ avvallamento, cavità, quindi ‘presso l’avvallamento’.

3.-  I corpi di San Pietro e San Paolo furono trasferiti dalle loro rispettive sepolture e nascosti temporaneamente in questo cimitero nel 258 sotto la persecuzione di Valeriano. Per ulteriori approfondimenti invito alla lettura dei segunti articoli: Le reliquie di San Pietro e Le reliquie di San Paolo

4.- Questa chiesa, intitolata ai martiri Nereo e Achilleo è anche detta ’in fasciola’, ossia, ‘benda’ in latino. Ricorda quando San Pietro scappò dal carcere Mamertino per uscire dalla città. La grossa catena che gli era stata messa intorno alla caviglia aveva lasciato una ferita sulla quale aveva posto una benda. Quando arrivò nei pressi della zona che ora occuapano le Terme di Caracalla, che allora ancora non esistevano, la benda si sciolse e cadde. Sarebbe stata raccolta da una matrona romana che l’avrebbe conservata a casa sua. Questa casa cominciò subito a chiamarsi Titulus fasciole e, nel IV secolo, sullo quello stesso luogo venne costruita l’attuale chiesa intitolata ai martiri Nereo e Achilleo, detta appunto ‘in fasciola’, dove è ancora conservata questa reliquia.

5.- L’imperatrice Elena, Sant’Elena, fu la madre dell’imperatore Costantino, e si convertì al cristianesimo. Invito alla lettura dell’articolo “Sant’Elena: le peripezie delle spoglie di un’imperatrice” e anche “’Storia della Vera Croce’ di Antoniazzo Romano”. Quest’ultimo narra come Elena scoprì la Vera Croce.

6.- Le catacombe di Vigna Randanini solo visitabili su richiesta. Le altre sono inaccessibili o visitabili son con un permesso speciale.

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Leggi anche: Le catacombe; origine, sviluppo e declivo; Le catacombe: morfologia; Le catacombe: iconografia ed epigrafia; Le catacombe: il culto dei martiri; Le catacombe d’Italia; Le catacombe nel mondo

Prossimo articolo: Le catacombe del mondo

Le catacombe (4): Il culto dei martiri

10 domenica Ago 2025

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Arte, Pellegrinaggi, Storia

≈ 8 commenti

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catacombe, Cripta dei papi, culto dei martiri, martiri, Papa Damaso, Pasquale I, Santa Cecilia, Stefano Maderno

– Jules Eugene Lenepveu – I martiri nelle catacombe 1855 – Museo del Louvre

Inizialmente le catacombe furono utilizzate come cimiteri. Poi, a partire dalla liberalizzazione del culto, dopo l’Editto di Costantino dell’anno 313, e soprattutto a partire dalla metà del V secolo, diventarono fondamentalmente luoghi di culto e santuari dove pregare sulle tombe dei martiri.

Ma da dove viene la parola martire? Viene dal latino martyr-y̆ris e a sua volta dal greco μάρτυς-υρος, che significa “testimone”, colui che aveva reso testimonianza della vita e resurrezione di Cristo fino al sacrificio della vita.

Il culto dei martiri nell’epoca paleocristiana rappresentò un elemento centrale nello sviluppo della spiritualità, della liturgia e dell’identità collettiva delle prime comunità cristiane, specialmente durante e dopo le persecuzioni dell’Impero romano.

– Banchetto liturgico fra cristiani. III secolo – Catacombe di San Callisto, Roma

A partire dal XVII secolo, quando furono riscoperti questi cimiteri sotterranei, l’archeologia cristiana, da Antonio Bosio in poi, non solo ricostruì la loro storia ma anche il loro significato, la simobología, l’iconografia, le tecniche costruttive, arrivando così a distinguere i vari tipi di tombe, la loro cronologia, gli spazi destinati alle differenti attività, etc. Ma una cosa era importantissima: era essenziale distinguere le tombe dei martiri, perché furono quelle che diedero un senso alle continuità delle catacombe, facendole diventare una sorta di santuario che attraeva migliaia di pellegrini.

Come riconoscere una sepoltura di un martire? Evidentemente era necessario qualche segno speciale, quando non era presente il titolo solenne di ‘Martyr’. Simboli come una palma, che contraddistingue un martire nell’iconografia cristiana, o la presenza di ampolle nel sepolcro1, non sempre sono segni inequivoci di trovarsi in presenza della tomba di un martire. All’epoca la palma poteva essere usata anche nei culti pagani o per i cristiani essere un segno della vittoria sul mondo delle passioni, e le ampolle con il sangue venivano piuttosto conservate in un luogo sicuro e considerate reliquie da venerare. Le ampolline trovate e ritenute per secoli erroneamente il sangue de martiri erano, generalmente, unguentari e balsamari che servivano per profumare e decorare  la tomba. Quanto al monogramma di Cristo, ☧, questo simbolo è stato raramente usato prima di Costantino, diventando comune dopo l’Editto di Milano del 313.

– Gesù Cristo affiancato da San PIetro e San Paolo. In basso, alcuni martiri, fra cui Marcellino e Pietro, che affiancano l’agnello, simbolo del sacrificio. IV secolo – Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, Roma

Indizi molto più sicuri sono invece la loro disposizione all’interno delle catacombe, fatta ad hoc per facilitare il culto. Oltre alla presenza di resti, sono le tracce di oratori, di basiliche, di lucernari, o di scale di accesso in vicinaza delle cripte, cha favorivano l’accesso ai pellegrini a ai devoti. Quindi i numerosissimi graffiti lasciati da questi, con informazioni preziose o le pitture che decorano gli arcosoli e le cappelle. Quelle delle sepolture normali sono generalmente anteriori al V secolo, mentre quelle delle sepolture dei martiri continuarono ad essere decorate anche dopo. Un ulteriore aiuto a rintracciare queste tombe lo forniscono antichi documenti, come martirologi o gli itinerari dei pellegrini compilati nel VII secolo.

– Cripta dei papi – Catacombe di San Callisto, Roma

Una volta che la Chiesa divenne proprietaraia delle catacombe, Papa Damaso (fine IV secolo) fece fare un’accurata ricerca e identificazione di queste tombe che poi furono restaurate, abbellite e adornate con inscrizioni recanti splendidi panegirici. Si arricchirono di sculture, mausolei e preziosi affreschi. Le pitture, i mosaici, i rilievi dei sarcofagi, le arti minori rievocano sempre storie bibliche, altre presentano i volti dei primi santi e martiri. Si costruirono nuove scale per facilitare l’ingresso di un sempre maggiore afflusso di visitatori. A volte vennero anche erette delle vere e proprie basiliche sotterranee, sconvolgendo interi settori delle catacombe. Nel III secolo molti papi vennero sepolti nelle catacombe di San Callisto. La fama delle tombe dei papi2 e dei martiri si era estesa a tal punto (specie nell’Europa settentrionale) che le catacombe divennero meta di veri e propri pellegrinaggi di massa.

– Catacombe di San Gennaro, Napoli – Livello inferiore

Inoltre, i cristiani facevano il possibile per collocare le tombe dei loro morti il più vicino possibile a quelle dei martiri. Ma questi luoghi privilegiati erano molto difficili da ottenersi, così spesso si scavarono piccole cappelle vicino o dietro queste tombe. E così poco a poco si crearono reti densissime, spesso con più piani di gallerie sovrapposte, che accerchiavano le tombe dei martiri.

Una volta liberalizzato il culto si poterono stabilire più liberamente cimiteri a cielo aperto. Nonostante ciò si continuarono a scavare gallerie sotterranee fino al principio del secolo V, per rispondere alla volontà dei sempre più numerosi credenti, compresi quelli della classe dirigente, di essere sepolti vicino ai martiri, soprattutto quelli piú famosi. Questo segnò una svolta importante nello sviluppo delle catacombe, perché fu quando vennero realizzate le sepolture più ricche e piú spettacolari. Si tratta in particolare dei cubicula, riccamente adornati.  

– Cripta di Veneranda. Veneranda è accompagnata dalla martire Petronilla. Catacombe di Santa Domitilla, Roma, IV secolo

Fra i martiri più famosi ricorderemo Santa Cecilia, di nobile famiglia romana martirizzata nel III secolo e patrona della musica.3 Fu sepolta nelle catacombe di San Callisto di Roma, dove fu venerata per almeno cinque secoli nella cripta che reca il suo nome. Nell’821 i suoi resti furono traslati alla basilica a lei dedicata in Trastevere, nella quale, davanti all’altare maggiore, possiamo ammirare una splendida scultura di Stefano Maderno, del 1599, una copia della quale è anche nelle catacombe di San Callisto, nella cripta dedicata alla santa.

– Santa Cecilia dopo il suo martirio. Dopo il fallito tentativo di ucciderla per asfissia, la martire è stata decapitata, come risulta dal segno sulla nuca. Stefano Maderno. 1599. Basicila di Santa Cecilia, Roma
– Basilica di Santa Cecilia, Roma. Statua di Santa Cecilia visibile davanti all’altare maggiore

A partire dal VII secolo cominciarono le traslazioni dei corpi dei martiri dalle catacombe, che generalmente si trovavano fuori le mura di Roma, a Chiese o cripte entro le mura. Queste traslazioni divennero sempre più frequenti nell’VIII e IX secolo, fino ad arrivare a una traslazione ‘di massa’: 2.300 corpi, ordinata dal papa Pasquale I, nell’827, per evitare la possibile profanazione di queste tombe da parte dei barbari che minacciavano di assaltare Roma, come già fece Astolfo, re dei Longobardi, con Pavia. Possiamo dire che da questo momento in poi le catacombe non furono piú luoghi di culto e poco a poco furono abbandonate.

Nonostante ciò, il culto dei martiri nell’epoca paleocristiana fu fondamentale per la formazione della teologia cristiana, delle pratiche liturgiche e dell’identità comunitaria, lasciando un’impronta duratura nella storia della Chiesa.

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1.- Il sangue dei martiri veniva raccolto dopo la loro morte

2.- Nelle catacombe di San Callisto (Roma) furono sepolti ben sedici papi, nel III secolo e  tutti nel chiamato Criptoportico di San Callisto, noto anche come Cripta dei Papi, situato nella cosiddetta regione dei papi e di Santa Cecilia.

3.- Cecilia fu condannata a morire asfissiata nel bagno di casa sua dovendo respirare i vapori e le emanazioni dello stesso ad alta temperatura. Però il tentativo fallisce e Cecilia rimane illesa. Quindi il prefetto decide di farla decapitare. Diventò la santa protettrice della musica per un errore di traduzione, o di trascrizione, di un brano contenuto negli Atti di Santa Cecilia: ‘Venit dies in quo thalamus collacatus est, et, canentibus [cantantibus] organis, illa [Cecilia virgo] in corde suo soli Domino decantabat [dicens]: Fiat Domine cor meum et corpus meus inmaculatum ut non confundar’. La traduzione sarebbe: ‘Venne il giorno in cui si celebrò il matrimonio e, mentre suonavano gli strumenti musicali, lei (la vergine Cecilia) nel suo cuore cantava al suo unico Signore (dicendo): Signore, il mio cuore ed il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa’. ‘Organis’, che significa ‘strumenti musicali’ fu tradotto come ‘organo’, quindi diventò: ‘Cecilia cantava acompagnata da un organo’. Vediamo dal secolo XV in poi varie rappresentazioni di Cecilia con un piccolo organo portatile o altri strumenti. Però le confusioni non sono finite: in un errore di trascrizione la parola ‘canentibus’ (sinonimo di cantantibus) era originariamente ‘candentibus’, ossia bollenti. Non dimentichiamo quale fu il primo tentativo di martirio inferto alla santa, quindi i ‘candentibus organis’ sono gli strumenti di tortura, i tubi bollenti: ‘Cecilia, fra gli strumenti di tortura cantava al signore…’ dovendo intendersi come ‘thalamus’ non il banchetto di nozze, ma il momento del martirio. (da N.de Matthaeis, Andar per Miracoli, Napoli 2013

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Leggi anche: Le catacombe: Origine, sviluppo e declino, Le catacombe: morfologia, Le catacombe: iconografia ed epigrafia; Le catacombe di Roma; Le catacombe d’Italia; Le catacombe nel mondo

Prossimo articolo: Le catacombe del mondo

Le catacombe (3) – Iconografia ed epigrafia

10 giovedì Lug 2025

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Arte, Storia

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catacombe, Chrismon, ichtus, lapicida, monogramma di Cristo, orante, simbologia cristiana

– La Madonna con il bambino affiancata da un profeta (Balaam o Isaia), la prima immagine di Maria esistente. II-III secolo. Catacombe di Priscilla, Roma

L’arte paleocristiana (I-V secolo) cominciò a formarsi precisamente con le catacombe, essendo quindi la più antica forma d’arte legata alla storia del crsitianesimo. L’iconografia nelle catacombe cristiane inizialmente (I-II secolo) è molto semplice, spesso reinterpretando non solo tecniche e stili dell’arte pagana ma anche i soggetti (per esempio dèi pagani come Mercurio che vengono trasformati nel Buon Pastore) e per questo fu anche chiamata “arte romana cristianizzata”. I cristiani convertiti erano pur sempre cittadini di cultura e tradizioni romane e gli artisti, fino alla metà del IV secolo, rispondevano senza distinzione a committenze pagane e cristiane.

– Il Buon Pastore. Catacombe di Santa Domitilla, Roma

La simbologia era molto importante e quindi molto presente: da una parte perché il cristianesimo era ancora influenzato dalle sue radici culturali giudaiche, e la religione ebraica è aniconica, ossia che proibisce rappresentare essere divini, profeti od altri personaggi religiosi, e dall’altra perché era legata alla natura clandestina della pratica del culto nel periodo precedente all’Editto di Milano. Soggetti come pesci, rami di ulivo, uccelli (come il pavone, la fenice e la colomba) la vite o l’ancora sono estensamente rappresentati, oltre, naturalmente, alla croce.

– La croce ancora. Catacombe di Santa Domitilla, Roma
– Il pesce, simbolo di Cristo. Catacombe di Santa Domitilla, Roma

Molti dei simboli ebraici sono ripresi dalla religione cristiana, come dimostra diversa iconografia in catacombe ebraiche, dove possiamo trovare, oltre alla menorah (il calndelabro a sette braccia), l’etrog (il cedro) o lo shofar (il corno), tipici simboli ebraici, anche la palma, il pavone, o  giardini fioriti che ricordano la creazione del paradiso terrestre (Gen 2,8-10), molto rappresentati anche nella catacombe cristiane.

Tutti i simboli hanno il loro significato, quasi sempre legato alla resurrezione e la salvezza eterna, come la palma (simbolo del martirio e quindi della vittoria, dell’ascesa, della rinascita e dell’immortalità), il pavone (che in inverno perde le piume e in primavera ne acquiesta di nuove ancor più belle) o la fenice (che rinasce dalle sue proprie ceneri). Come sappiamo, il pesce rappresenta Cristo1; la colomba, con il ramoscello di ulivo nel becco, la pace del paradiso, la salvezza apportata dall’arca di Noè; l’ancora la fermezza della fede e la speranza della promessa della vita futura; la vite, i tralci con l’uva, che tradizionalmente era il simbolo legato al dio Bacco, divenne poi emblema di Cristo, grazie alle parole che lui stesso pronuncia nel Vangelo2.

– Il pavone. Catacombe di San Gennaro, Napoli
– La colomba con il ramo di ulivo e il monogramma di Cristo. Catacombe di Santa Ciriaca, Roma

Alfa ed Omega, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, indicano che Cristo è principio e fine di ogni cosa3. Tra i simboli più conosciuti c’è quello dell’agnello, la creatura pura sacrificata a Dio dal popolo d’Israele per liberarsi dalla schiavitù d’Egitto. Il simbolo dell’agnello e del suo sacrificio è mantenuto anche nel Nuovo Testamento: Gesù è sacrificato per la salvezza del popolo di Dio. L’agnello viene raffigurato  spesso con un’aureola, o con la croce, o lo stendardo della Resurrezione.

– Croce con Alfa e Omega. Catacombe di Santa Ciriaca, Roma

Già verso la fine del secondo secolo si sviluppa un’iconografia più narrativa, che attinge soprattutto dalle scritture: dell’Antico Testamento le più rappresentate sono ‘Daniele nella fossa dei leoni’, il ‘Peccato originale di Adamo ed Eva’, ‘Giona inghiottito dalla balena’, ‘Noè ed il Diluvo Universale’, il ‘Sacrificio di Isacco’ o i ‘Giovani di Babilonia salvati dalle fiamme della fornace’; e del Nuovo Testamento, la ‘Resurrezione di Lazzaro’, la ‘Moltiplicazione dei pani e dei pesci’ ed altri miracoli, ‘l’Ultima Cena’ o il ‘Buon Pastore’. Questi rappresenta Cristo Salvatore con la pecora sulle spalle, l’anima che Lui ha salvato. Gesù è il Pastore di tutti i suoi discepoli. L’orante è rappresentato con frequenza. E’ una figura vestita con una tunica a maniche lunghe e con le braccia alzate verso il cielo, in preghiera, intercedendo per chi resta, chiedendo “pietà” per i cristiani. Non mancano immagini della Natività, dei Re Magi o degli apostoli.

– Orante. Cubicolo della Velata. Catacombe di Priscilla, Roma

In alcuni casi, come nell’Ipogeo di Dino Compagni di Roma, scoperto nel 1955, datato IV secolo, troviamo affreschi che rappresentano temi biblici rappresentati con iconografie inconsuete, anche tratte dal repertorio mitologico. Tali rappresentazioni testimoniano la presenza, accanto a gruppi cristiani, di gruppi non ancora convertiti.

– Il peccato originale. Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, Roma

Per quanto riguarda le teniche utilizzate, troviamo dipinti, mosaici (dei quali ne restano solo poche tracce) o rilievi di sarcofagi. Le pitture non sono encausti ma solo affreschi e tempere, salvo eccezioni, giacché l’encausto richiede vari strati di intonaco che le pareti di tufo e pozzolana non potrebbero sostenere. I colori sono minerali e la tavolozza povera: predominano l’ocra gialla, il rosso e il verde; più raramente si trovano il minio e il cinabro e assai più raro il turchino. La pittura si distende su pareti e volte di cubiculi, sullo sfondo, nel sottarco e sulla fronte degli arcosoli. In alcuni casi anche negli ambulacri monumentali. Nel periodo più antico la decorazione è più semplice, tracciata rapidamente, dove le figure si rilevano da lontano mentre che da vicino sono più che altro macchie di colore. In questa fase pittorica possiamo collocare la famosa Madonna di Priscilla (seconda metà del II secolo, inizio III), che ha vicino un profeta (Balaam o Isaia), l’immagine di Maria più antica del mondo4.

– Il sacrificio di Isacco. Catacombe di Via Latina, Roma

Le tecniche pittoriche, così come l’uso dei colori, cambiano col passare del tempo. I colori più luminosi cedono il passo a tinte piu calde, rossi e gialli coriacei con larghe ombre scure. Ma poi, nel secolo IV risorge il gusto del colore.

Inoltre lo stile e i soggetti cambiano a seconda dell’ubicazione delle catacombe perché subiscono l’influenza della cultura locale. Se a Roma le catacombe sono influenzate da modelli pagani a Siracusa gli affeschi sono chiaramenti orientaleggianti. In quelle di Napoli, nelle quali si è continuato a seppellire fin verso il X secolo, sono evidenti le varie epoche: dall’ultima epoca pompeiana fino all’influsso bizantino per derivare poi in uno stile tutto campano.

– Frammento di lapide di una tomba. Catacombe di Priscilla, Roma

In quanto all’epigrafia, gli epitaffi sulle tombe più antiche registrano solo il nome del defunto, raramente accompagnato da quello del dedicante o dall’augurio di pace. Poi il formulario è andato arricchendosi di elementi onomastici, anagrafici, topografici (relativi al luogo di abitazione o di lavoro) e di formule augurali come ad es. vivas in Deo (vivi in Dio), requiescit in pace (riposa in pace), ecc.  Ricorrono anche titoli di merito (come martyr e confessor), altri liturgici, onorifici o cultuali (sanctus e beatus). Per i cristiani la data di morte veniva indicata come il dies natalis, il giorno di nascita alla vita eterna. Altre formule epigrafiche sono le acclamazioni come gli auguri di pace, o dedicati alla felicità celeste, o il refrigerium, l’augurio di partecipazione al convito celeste, ecc., e le orazioni, come le invocazioni dell’intercessione o le preghiere per il defunto. Il materiale utilizzato era in gran parte marmo. Solitamente era un artigiano specializzato, il lapicida, ad operare sul materiale: tuttavia in moltissimi casi non possedeva una cultura sufficiente per scrivere in lingua corretta, e diffusamente si riscontrano alterazioni fonetiche e morfologiche proprie del vernacolo.

– Monogramma di Cristo o Chrismon. Catacombe di San Callisto, Roma
– Monogramma di Cristo attorniato da una corona di alloro. Catacombe di Santa Sofia, Canosa di Puglia

Altro genere epigrafico si considerano i graffiti, prodotti dai visitatori sull’intonaco delle pareti presso i sepolcri venerati. Le abbreviazioni si crearono per guadagnare spazio e tempo, come per esempio per sospensione, trascrivendo le prime lettere della parola (con una sbarra trasversale), o per contrazione, cioè sopprimendo alcune lettere. Esistono anche abbreviazioni per assimilazione di elementi o con lettere intrecciate, da cui poi deriva il monogramma, il più famoso dei quali è il monogramma di Cristo5.

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1.- In greco pesce è ICTHUS (ιχθύς) che sarebbe l’acronimo di “Iesous Cristòs Theou Uiòs Soter” Gesù Cristo figlio di Dio salvatore (Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore).

2.- «Io sono la vite. Voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla.» (Giovanni, 15, 5)  

3.- Apocalisse (22, 13): “Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine”.

4.- Quest’immagine, inoltre, proverebbe la presenza di un culto mariano già alla fine del II secolo o inizi del III, quando ‘ufficialmente’ fu introdotto nel 431 nel Concilio di Efeso, nel quale si proclama il dogma di fede che Maria è la “Madre di Dio”, in greco Theotókos.

5.- Il Chi Rho, conosciuto anche come monogramma costantiniano o eusebiano o chrismon, croce monogrammatica. È costituito essenzialmente dalla sovrapposizione delle prime due lettere del nome greco di Cristo, X (equivalente a “ch” nell’alfabeto latino) e P (che indica il suono “r”). Talvolta sotto la gamba della P si trova una S, ultima lettera del nome ‘Χριστός’ o appare insieme alle lettere alfa e omega e attorniato da una corona d’alloro, segno della vittoria.  

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Le catacombe (2)- Morfologia

09 lunedì Giu 2025

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Arte, Storia

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arcosolium, catacombe, cryptae, cubiculum, fossori, Gallerie a graticola, gallerie a maglie larghe, gallerie a spina di pesce, loculo

– Arcosolio – Catacombe di Via Latina, Roma

L’accesso alle catacombe avveniva normalmente attraverso una ripida scala (descensus o catabaticum) discendente fino a 7-8 metri dal livello del terreno e proseguendo orizzontalmente anche per più di 200 metri. La scala poteva essere preceduta da altre strutture, come un vestibolo d’ingresso. Molto più raramente, ove la morfología del terreno lo consentiva, si poteva accedere alla zona ipogea attraverso un ingresso situato in piano o alle falde di una collinetta.

– Scala di accesso – Catacombe di San Callisto, Roma

Lo spazio veniva sfruttato al massimo scavando diverse gallerie, normalmente con pianta a “graticola” o “a spina di pesce”. Nel primo caso, ai lati di una galleria matrice, in asse o ortogonale alla scala, diramano ad angolo retto, affrontate, numerose altre gallerie; nel secondo, due ambulacri paralleli, posti ad una certa distanza e talvolta serviti da scale autonome, sono raccordati da trasversali ortogonali. A partire dall’età costantiniana viene anche adottato uno schema “a maglie larghe” finalizzato a consentire l’apertura sistematica di cubicoli, talvolta di grandi dimensioni. Ma non sono gli unici impianti. In zone di campagna o in centri minori gli impianti erano meno regolari, senza uno schema predeterminato perché spesso effettuati da maestranze meno esperte. Nelle catacombe di altre città d’Italia possiamo trovare  schemi “a gallerie parallele”, come nel caso di quelle di San Gennaro a Napoli.

C
– Planimetria Catacombe Vigna Cassia, Siracusa

Una delle caratteristiche delle catacombe cristiane rispetto a quelle non cristiane coeve risiede nella loro estensione: le prime sono più vaste. Inoltre sono già pianificate con la possibilità di apportare futuri ampliamenti. Lo sviluppo delle varie aree ipogee provocò col tempo il loro reciproco congiungimento, la creazione di quel fitto e continuo reticolo di gallerie – di quel “labirinto” – che caratterizza le catacombe nella loro fase più matura. A Roma, le oltre 60 catacombe sviluppano complessivamente circa 150-170 Km di gallerie. Non di rado le catacombe utilizzavano antiche cave di pozzolana in disuso. Le larghe e tortuose gallerie di cui si componevano si prestavano perfettamente ad essere trasformate in cimiteri con pochi lavori di adattamento.  Spesso venivano riutilizzati i cuniculi idraulici o erano anche riadattati ambienti funerari ipogei più antichi.

– Lucernario – Catacombe di Priscilla, Roma

La luce e l’aria filtravano attraverso dei pozzi verticali quadrati, chiamati lucernari. Questi pozzi inizialmente erano usati per estrarre la terra. Venivano anche usate le lucerne ad olio.

Le gallerie furono chiamate cryptae, termine che poi passò a indicare tutto il complesso sotterraneo. Normalmente avevano più livelli, con profondità che potevano arrivare fino a 30 metri, costituiti da lunghe gallerie strette e basse, dette ambulacri, di circa 2,5 metri di altezza e 80-120 cm di larghezza, intercomunicanti ai vari livelli tramite ripidi scalini.

-Galleria/ambulacro con loculi – Catacombe di San Callisto, Roma

Nelle pareti degli ambulacri sono scavate le tombe: i “loculi” con un’altezza di 40–60 cm e una lunghezza variabile dai 120 ai 150 cm, con il lato lungo a vista, e le “tombe a forno” (dette anche ‘grotticelle’), con il lato corto a vista. Le pila erano dei gruppi di defunti disposti in ordine verticale; fra le pila solitamente si seppellivano i bambini. In queste sepolture i corpi venivano avvolti in lenzuoli di lino. I loculi potevano ospitare anche fino a tre corpi, e non si trovano soltanto nelle gallerie, ma anche nelle cappelle e perfino nelle pareti delle scale. I più elevati sono quasi sempre i più antichi, perché a mano a mano e misuratamente si abbassava il livello dell’escavazione.

– Cubilculum – Catacombe di Priscilla, Roma
– Cripta dei papi. Catacombe di San Callisto, Roma

Gli ambulacri potevano essere intervallati, oltre che con loculi più comuni, anche con cubicoli (cubiculum), piccoli ambienti, tipo cappella, destinati ad ospitare le tombe di una famiglia o associazione, e con le cripte, contenenti solitamente la tomba di un martire, con la presenza di un altare consacrato. Alcune di queste “cappelle” erano destinate alle celebrazioni liturgiche, come se fossero vere e proprie chiese sotterranee. E potevano avere le forme più svariate: quadrata, rettangolare, poligonale, rotonda, absidiata…. I cubiculi, inoltre, accolgono anche tombe a mensa, chiuse da una lastra orizzontale e sormontate da un arco, una sorta di nicchia arcuata, dette arcosoli (arcosolium) e destinate ai nobili, ai martiri e ai Papi.

– Cubiculum con arcosolio, Catacombe di Sant’Agnese, Roma

Queste sono solo le tipologie di tombe più comuni. Ma ce ne sono molte altre, come quelle ‘a pozzo’, a ‘cassa mortuaria’, a ‘baldacchino’, a ‘finestra’ o a ‘kokhim’, queste ultime tipiche dei cimiteri sotteranei ebraici.

La tomba veniva chiusa ponendo della malta e una lastra di marmo o delle tegole di terracotta, sulle quali veniva inciso il nome del defunto, l’età e la data di morte, e a volte un’epigrafe religiosa o simbolica. Spesso accanto a queste tombe più umili venivano collocati oggetti particolari, dalla tipologia più svariata, come lucerne, piccoli recipienti di vetro o ceramica, monete, elementi di corredo personale (orecchini, braccialetti, collane, ecc.), giocattoli di bambini (bambole, campanelli), ecc.

– Lapide mortuaria che avrebbe chiuso un loculo. Si può leggere una frase dedicata al defunto/a “dulcissim parent duo et) – Catacombe di Domitilla, Roma

Nelle catacombe era fondamentale il lavoro dei fossores (o fossori), definiti per la prima volta nel 303, che si occupavano di seppellire i morti e di scavare le gallerie, gli ambienti e le tombe, e talvolta della vendita delle stesse. Ai più specializzati di essi era anche affidata la decorazione dei sepolcri e l’esecuzione degli epitaffi. I fossores vivevano di donazioni, ma in seguito seppero approfittare della propria posizione, ottenendo lauti guadagni scambiando privilegi, come quelli di essere sepolti vicini ad un martire.

Dal IV secolo in poi le catacombe cristiane, che già avevano dimensioni colossali con centinaia di migliaia di tombe, divennero proprietà della Chiesa di Roma che assunse la responsabilità della loro amministrazione. Con papa Damaso I (366-384) comincia un’epoca d’oro per i cimiteri cristiani di Roma, con lavori di abbellimento e di ampliamento nelle cripte dei martiri per facilitare l’ingresso di un sempre maggiore afflusso di visitatori. Dal pontificato di Sisto III (432-440) non si ha più notizia di compravendite di sepolcri, che furono definitivamente abolite con papa Gregorio Magno.

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Le catacombe (1) – Origine, sviluppo e declino

09 venerdì Mag 2025

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Arte, Reliquie, Storia

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Antonio Bosio, catacombe, Giovan Battista de Rossi, Incursioni barbare a Roma, martiri, papa Pasquale I, papa Zefirino, Persecuzioni

– Catacombe di Commodilla, IV secolo

Le catacombe cominciarono ad essere così chiamate nel III secolo d.C. sotto Diocleziano. E fu precisamente in occasione della sepoltura di San Sebastiano, dopo il suo martirio. Infatti fu portato in un cimitero fra il secondo ed il terzo miglio della Via Appia che precedentemente era un avvallamento usato dai romani per estrarre pozzolana.

Quindi pare che il termine derivi dal greco ‘katà’, sotto, presso, e ‘kymbe’ avvallamento, cavità, quindi ‘presso l’avvallamento’. Però è pure vero che ‘kymbas’ vuol dire anche piccole barche. Quindi in quei paraggi doveva esserci una qualche rappresentazione di due o più barchette. Forse un’osteria con quest’insegna. Il termine, pertanto, potrebbe significare ‘presso le barchette’.

Precedentemente si usava il termine cimitero (applicabile sia ai cimiteri sotterranei che a quelli sopra terra), dal greco ‘koimētérion’ (dormitorio) derivato dal verbo ‘koimáō’, ossia “dormire”, “riposare”, per sottolineare il fatto che per i cristiani la sepoltura è solo un momento temporaneo, in attesa della resurrezione finale.

In ogni caso il termine ‘catacombe’, che poi è stato applicato a tutti i cimiteri sotterranei cristiani e non, ha origine proprio in questo luogo della Via Appia, nelle catacombe prima ricordate per la memoria degli Apostoli Pietro e Paolo1 e poi definitivamente chiamate di San Sebastiano, che sono quasi adiacenti alle famose catacombe di San Callisto.

Catacombe ebraiche di Vigna Randanini, Roma
– Catacombe ebraiche di Villa Torlonia, Roma, II secolo – Affreschi con simboli ebraici

Ma facciamo un passo indietro perché è bene ricordare che questi cimiteri sotterranei non erano stati creati dai cristiani né essi ne facevano un uso esclusivo. Ne esistono anche di altre religioni. I primi ad usarli a Roma furono gli ebrei, perché rispondevano anche alla necessità di questa religione, come quella cristiana, di inumare i defunti perché rifiutavano la cremazione. Immediatamente dopo il primo periodo delle origini cristiane vi fu una netta separazione tra i sepolcreti ortodossi e quelli eretici. Ciò risulta evidente dalla presenza di affreschi o iscrizioni che escono dal ciclo iconografico che comunemente si ritrova nelle catacombe.

Ci sono anche i cimiteri sotterranei, chiamati sincretistici, appartenuti a pagani che accolsero dèi di altre religioni, oppure cristiani ancora inquinati di paganesimo. E poi ipogei più o meno vasti creati dagli Etruschi, dai Sabini e dagli stessi Romani, per restare nell’ambito romano e laziale.

– Catacombe di San Callisto, II secolo

Le catacombe erano anche la soluzione all’elevato costo dei terreni e la gran densità della popolazione, e ciò fu possibile perché a Roma il suolo è fatto soprattutto di tufo, un materiale molle, facile da scavare. Roma era quindi circondata da questi cimiteri (che ormai la città ha incorporato), perché la legge proibiva le sepoltura dei defunti dentro il recinto urbano. Molti terreni fuori porta furono comprati da persone danarose convertite al cristianesimo e poi destinati a cimiteri. Le catacombe furono poi usate anche come luogo per celebrare i riti funebri, gli anniversari dei martiri o, durante le persecuzioni, per celebrare l’eucarestia. I romani le conoscevano benissimo, anche se la ricca filmografia holliwoodiana, che ha origine in antiche credenze popolari, ci ha fatto credere che le catacombe erano un luogo segreto, dove i cristiani si nascondevano.

Le catacombe (o cimiteri con questa tipologia) si svilupparono soprattutto a Roma, circa sessanta, e altrettante nel Lazio. Ma ne esistono anche in altre città italiane e della conca del Mediterraneo, soprattutto dove ci sono terreni tufacei, cioè centro e sud Italia e nelle isole. Ma anche in altri paesi. In Italia, le catacombe si trovano soprattutto al sud, dove la consistenza del terreno è più tenace e, allo stesso tempo, più duttile allo scavo. La catacomba più a nord si trova nell’isola di Pianosa. Altre catacombe si trovano in Toscana (Chiusi), Umbria (presso Todi), Abruzzo (Amiterno, Aquila), Campania (Napoli), Puglia (Canosa), Basilicata (Venosa), Sicilia (Palermo, Siracusa, Marsala e Agrigento), Sardegna (Cagliari, S. Antioco). Nella conca del Mediterraneo, i cimiteri sotterranei più a sud si trovano in Nord Africa, soprattutto ad Hadrumetum in Tunisia.

– Catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, II secolo

I cristiani cominciarono a usarle a partire dal II-III secolo d.C. con il pontificato di Papa Zefirino (199-217), che affidò al diacono Callisto, futuro pontefice, il compito di sovrintendere al cimitero ufficiale della Chiesa romana sulla via Appia, dove sarebbero stati sepolti i pontefici del III secolo. Prima di questa data, venivano seppelliti in cimiteri comuni, usati anche dai pagani, oppure in terreni privati intorno a sepolcri di famiglia di cristiani abbienti che poco a poco furono ampliati ad altri cristiani di famiglie più modeste. A questo periodo si riferiscono i nomi di alcuni cimetri o catacombe che ricordano i proprietari, i benefattori, come le catacombe di Priscilla o di Domitilla. I cimiteri sopra terra, o subdiali, occupavano un’area ben definita e recintata sotto la vigilanza e cura di un custode. I corpi, di regola, venivano orientati ad est. Le tipologie di sepolture potevano essere di diverso tipo: da quelle più lussuose (sarcofagi) a quelle più modeste, come i semplici monoliti.

Si può credere che fin dall’origine i cimiteri fossero messi in relazione con i luoghi di riunione presenti all’interno della città (domus ecclesiae), come avvenne certamente nel sec. IV, quando furono costituiti i titoli2. Nel sec. III, essendo divenuto grandissimo il numero dei cristiani, fu necessario avere dei cimiteri comuni, che furono sempre più grandi. I cimiteri privati continuarono tuttavia ugualmente, e restarono in uso anche durante le persecuzioni di Valeriano e Diocleziano, quando quelli comuni furono confiscati.

– Basilica di Santa Pudeziana, Roma, costruita sulla casa del senatore Pudente, che si trova nove metri sotto la basilica. Questa casa divenne una ‘domus ecclesiae‘ nel I-II sec e succesivamente uno dei 25 titoli di Roma, il ‘Titulus Pudenti‘. Secondo la tradizione, San Pietro fu ospitato in questa casa
– Basilica di Santa Pudenziana. Mosaico absidale

Le catacombe come cimiteri vennero usate fino al V secolo, quando la Chiesa ritornò a seppellire esclusivamente sopra terra o nelle basiliche dedicate a martiri importanti. Questo cambiamento concorda con la libertà di culto decretata nel 313 con l’Editto di Costantino, e soprattutto col trionfo definitivo del cristianesimo nel 394, dopo le leggi di Teodosio3. Sui cimiteri furono allora costruite in Roma delle basiliche, o si trasformarono in chiese le cripte sotterranee.  Da questo momento in poi, e fino all’800 circa, le catacombe cominciarono ad essere considerate come dei luoghi santi, autentici santuari dove i cristiani potevano visitare le tombe dei martiri uccisi durante le persecuzioni.

Nel VI secolo i papi Vigilio e Giovanni III restaurarono le catacombe dopo i danni causati dalla guerra greco-gotica. Altri lavori di restauro furono effettuati dai papi Adriano I e Leone III in seguito all’incursione dei Longobardi di Astolfo del 756 e quella dei Saraceni dell’846, che provocarono gravissimi danni, aggravati anche dal “lavoro” dei saccheggiatori4. Gli ultimi lavori di restauro furono un ultimo sforzo per conservare questi cimiteri per celebrarvi gli anniversari dei martiri. Sono ancora visibili molteplici graffiti, appartenenti a questo periodo, di preghiere o ricordi di riti compiuti, incisi da pellegrini sugli intonaci delle cripte. Ma il popolo romano aveva già perduto l’abitudine di frequentare i cimiteri sotterranei, e gli sforzi dei papi a nulla valsero. Poco a poco venivano trasportati in città vari corpi dalle catacombe, soprattutto di papi. Poi, nell’anno 817, papa Pasquale I, ordinó la traslazione intramoenia di 2.300 corpi santi che si trovavano nelle basiliche cimiteriali e nelle catacombe fuori le mura aureliane, per evitare la possibile profanazione da parte dei barbari che da tempo minacciavano l’assalto alla città di Roma, come già aveva fatto Astolfo, re dei Longobardi, a Pavia. Questi corpi santi furono quindi sistemati nelle chiese.

– Catacomba Anonima di Via Anapo, II secolo

Una volta tolti i corpi e le reliquie dalle catacombe, queste vennero abbandonate, salvo poche eccezioni. La vegetazione, le frane ad altro spesso ostruirono le entrate delle stesse e, con il tempo, se ne persero le tracce. Nel Medioevo nessuno sapeva più dove fossero. La scoperta casuale di una nuova catacomba intatta (quella oggi denominata Anonima di Via Anapo), avvenuta sulla via Salaria il 31 maggio 1578, fu salutata pertanto come un evento straordinario. Il rinvenimento provocò un risveglio di interessi tra gli studiosi dell’epoca, ma anche dei cosiddetti “corpisantari”, “operai spacializzati” che sottomisero la catacombe ad un sistematico saccheggio, in cerca soprattutto di reliquie di martiri.

Antonio Bosio5 (1575-1629) diede un grande impulso allo studio delle catacombe di Roma che furono oggetto di un’esplorazione sitematica. I suoi studi vennero ripresi e continuati da altri studiosi, soprattutto da Giovan Battista De Rossi6 (1822-1894) che è considerato il fondatore dell’archeologia cristiana. Nel 1852 Papa Pio IX creò, per una idea di Giovan Battista De Rossi, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra per “custodire i sacri cemeteri antichi per curarne preventivamente la conservazione, le ulteriori esplorazioni, le investigazioni, lo studio, per tutelare inoltre le più vetuste memorie dei primi secoli cristiani, i monumenti insigni, le Basiliche venerande, in Roma, nel suburbio e suolo romano e anche nelle altre Diocesi d’intesa con i rispettivi Ordinari”.

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  1. I corpi di San Pietro e San Paolo furono trasferiti dalle loro rispettive sepolture e nascosti temporaneamente in questo cimitero nel 258 sotto la persecuzione di Valeriano. Per ulteriori approfondimenti invito alla lettura dei segunti articoli: Le reliquie di San Pietro e Le reliquie di San Paolo
  2. Il titolo (titulus) indicava originariamente la tabella (di marmo, legno, metallo o pergamena) che, posta accanto alla porta di un edificio, riportava il nome del proprietario. Questo perché le prime adunanze dei cristiani si attuavano all’interno di edifici privati (domus ecclesiae). I tituli privati comprendevano, oltre alla sala cultuale e ai locali annessi per usi liturgici, anche l’abitazione privata. Successivamente nacquero i tituli di proprietà della comunità, che conservavano il nome del fondatore o del donatore della casa. (fonte Wikipedia)
  3. Editto di Tessalonica. Editto che dichiara il cristianesimo come religione ufficiale dell’impero, proibendo l’arianesimo e i culti pagani https://it.wikipedia.org/wiki/Editto_di_Tessalonica
  4. Questi saccheggiatori fornivano di reliquie soprattutto monasteri tedeschi. Sul contrabbando di reliquie del periodo post carolingio invito alla lettura dell’articolo: Deusdona: il più famoso ladro di reliquie di tutti i tempi
  5. A. Bosio. Roma sotterranea. Opera Postuma. Roma 1710
  6. G.B. De Rossi- La Roma sotterranea cristiana. Roma 1867; Bullettino di Archeologia Cristiana dal 1863; Inscripciones christianes urbis Romae VII saeculo antiquiores, 1861.

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Relicarios fantásticos: El relicario de Bimaran

23 venerdì Ago 2024

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Artículos en español, Arte

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Arte del Gandhara, Azes, Brahama, Buddha, Charles Masson, Estupa 2, Indra, Relicario de Bimaran

Reliquiari fantastici: Il reliquiario di Bimaran    Puoi leggere quest’articolo in italiano cliccando qui

– Relicario de Bimaran. En primer plano la imagen de Buda, a la izquierda Brahma y a la derecha Indra

Mide solo 7 cm de diámetro, es de oro, se encuentra en el British Museum y está considerado como una obra maestra del arte griego-budista del Gandhara.

Este pequeño relicario, de valor inestimable, se remonta al siglo I a.C., y no solo es importante en sí mismo por ser el ejemplo mejor conservado de la orfebrería de la India antigua, sino también porque presenta una de las más antiguas imágenes de Buda que se conocen en la zona del Gandhara.

– Estupa nº 2 de Bimaran. Dibujo de C. Masson, 1841

Fue hallado en 1834 por el arqueólogo Charles Masson en el estupa nº2 de Bimaran, cerca de Jalalabad, actual Afghanistan oriental, en el antiguo Gandhara. Junto con el relicario fueron halladas 4 monedas del rey indoescita Azes II, pero atribuidas al rey Indoescita Kharahostes o a su hijo Mujatria quien las mandó acuñar con el nombre de Azes, que han contribuido a la datación del objeto.

– Flor de loto grabada en el fondo del relicario

Sus dimensiones son: 7 cm de alto x 6,7 de diámetro, y ha sido realizado completamente en oro y decorado con granates. Se representa al Buda rodeado por las divinidades hindúes Brahma e Indra, y por bodhisattvas. Es una sucesión de dos grupos idénticos: Brahama-Buda-Indra, y los dos bodhisattvas. En total ocho figuras en alto relieve, repujadas. La mirada y la postura de las divinidades hindúes se dirigen a Buda. La base del objeto está decorada con la representación de una flor de loto con ocho pétalos que ocupa toda su superficie. Estas representaciones tienen una fuerte influencia del arte helenístico, como demuestran las posturas de los sujetos enfrentados, la vestimenta de tipo griego, y otros detalles. Los sujetos están representados bajo arcos apuntados, denominados caitya, que descansan sobre pilastras. El espacio externo entre los arcos está ocupado por un hansa, palabra sanscrita que identifica a un pato indio, considerado como un ave sagrada, además de ser utilizado como símbolo decorativo.

– Relicario de Bimaran, la vasija de esteatita y los objetos que contenía. Exposición British Museum

Este relicario, desafortunadamente hallado sin la tapa, se encontraba dentro de una vasija de esteatita, con inscripciones que indicaban que contenía algunas reliquias de Buda, pero éstas no pudieron ser identificadas cuando la vasija fue hallada en el siglo XIX. Se encontraron, en cambio, cuatro monedas, como ya se apuntó antes, algunas perlas y piedras preciosas y semipreciosas. Inicialmente, las reliquias que podían contener este tipo de relicarios eran restos físicos, por ejemplo huesos del mismo Buda o de sus discípulos más importantes. Más tarde podían ser de todo tipo, por ejemplo fragmentos de vestimenta de algún sacerdote importante, piedras preciosas u otras cosas.

– Relicario de Bimaran. En primer plano el dios Indra, que mira hacia Buddha quien está a la izquierda de la imagen. A la derecha, uno de los dos bodhisattvas.

En el arte del Gandhara, el Buda del relicario de Bimaran está considerado como la primera imagen conocida de Buda. La región de Gandhara (norte del actual Pakistan y este de Afghanistan) fue un importante punto de encuentro de varias influencias artísticas, y donde nació la escuela griego-budista. Varios siglos después de la expedición de Alejandro Magno en el Gandhara, en el 327 a.C., la influencia del arte griego y romano seguía siendo importante. Muchas esculturas revelan una mezcla de estilos orientales y occidentales. Pero este sincretismo no solo se limitaba al campo artístico, sino también al religioso, como demuestra este relicario en el que importantes divinidades hindúes están representadas junto a Buda, probablemente interactuando o rezando juntas.

Es la imagen más antigua fechable de Buda bajo forma humana y la más grande. Antes de esto Buda estaba representado de forma simbólica, como las huellas de los pies o un trono con un parasol. El budismo nació alrededor del VI-V siglo a.C. pero llegó a la zona del Gandhara hacia la mitad del II a.C. desde el valle del Ganges donde predicó Buda y desde donde se empezaron a construir los primeros estupas y monasterios.

Por el valor intrínseco, histórico, artístico y religioso este relicario está considerado como uno de los objetos más importantes del British Museum, y sin duda del arte universal.

Il cuore di Chopin

12 domenica Mag 2024

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Arte, Curiosità, Reliquie

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Auguste Clésinger, Chopin, Cuore di Chopin, George Sand, Parco Lazienki, Père-Lachaise, reliquias, Valldemossa, Varsavia

Chopin, grandissimo compositore e pianista che non ha bisogno di presentazioni, ha sempre avuto la sua Polonia nel cuore. Nel 1830, quando scoppiò la rivolta di Varsavia contro l’occupazione russa, lui si trovava a Parigi e fu costretto a rimanervi, scegliendo un esilio forzato, per sottrarsi all’autocratico governo zarista.

Frédéric Chopin nasce nel 1810 nei pressi di Varsavia da madre polacca e padre francese e all’età di sette anni compone la sua prima opera. Da quel momento in poi non smette più di comporre. Da quando lascia la Polonia visita Praga, Vienna e Parigi, città quest’ultima dove trascorre circa 17 anni e dove muore nel 1849. Frequentando gli ambienti culturali parigini, nel 1836, in casa si Franz Liszt, conosce Aurora Dupin, baronessa di Dudevant, scrittrice e divorziata con due figli, che si faceva chiamare George Sand. George Sand diviene la sua amante e la loro relazione durò per circa otto anni.

Chopin aveva una salute molto cagionevole; per migliorare i suoi problemi respiratori il medico gli consiglia di cercare un luogo dove il clima fosse più mite. Quindi nel novembre del 1838 si trasferisce con George Sand e i figli di questa a Palma di Maiorca. Ma in quel momento il clima del luogo non gli fu favorevole e la salute di Chopin peggiora. Gli viene diagnosticata una tubercolosi, una malattia contagiosa, che lo costringe alla quarantena. Ma la notizia si diffonde nell’isola e la coppia viene evitata dalla gente essendo quindi costretta a rifugiarsi nel monastero di Valldemossa per il tempo necessario di organizzare il viaggio di rientro, cosa non facile nelle sue condizioni e per di più con problemi economici.  

– Certosa di Valldemossa, Maiorca. Stanze occupate da Chopin e George Sand durante il loro soggiorno sull’isola

Nel 1839, dopo soli tre mesi dal loro arrivo sull’isola, rientrano in Francia e Chopin continua a insegnare anche se la sua salute peggiora. Nel 1848 la sua precaria situazione finanziaria lo spinge ad accettare un tour a Londra e in Scozia per fare alcuni concerti. Torna a Parigi nel 1849 e il 17 ottobre di quello stesso anno muore, a soli 39 anni. Il suo funerale si celebra nella chiesa della Madeleine dove sono interpretati i suoi Preludi in mi minore e in si minore ed il Requiem di Mozart. Viene sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise, fra la tomba di Bellini e quella di Cherubini. La scultura funebre posta sulla tomba è opera dello scultore Auguste Clésinger, marito della figlia di George Sand.

– Tomba di Chopin. Cimitero Père-Lachaise, Parigi. La statua di Auguste Clésinger, rappresenta Euterpe, la musa della musica.

Chopin aveva il terrore di essere seppellito vivo. Per questo motivo nel suo letto di morte dispose che subito dopo il trapasso il suo corpo fosse aperto e il cuore estratto e portato nella sua amata Polonia. E così fecero, e per conservarlo lo misero in un recipiente di vetro pieno di cognac. La sorella Ludwika riuscì a portarlo a Varsavia, passandolo ‘di contrabbando’  alla frontiera, nascondendolo sotto le gonne. In Polonia il cuore passò per diverse mani di parenti  prima di essere chiuso in una colonna della chiesa di Santa Croce di Varsavia, come se fosse la reliquia di un santo, con sotto la scritta tratta dal Vangelo: “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”.

– Chiesa della Santa Croce, Varsavia. Nel pilastro di sinistra è rinchiuso il cuore di Chopin.
– Pilastro della Chiesa di Santa Croce che alberga il cuore di Chopin

Nel 1944, durante la Seconda Guerra Mondiale, il cuore viene prelevato dai nazisti, in concreto da un ufficiale di alto rango, non per rubarlo, ma per proteggerlo dai disordini del conflitto perché era un grande ammiratore di Chopin. I tedeschi lo consideravano in parte come un ‘loro’ compositore a causa dell’influenza che ebbero i musicisti tedeschi sulla sua musica. E fu un bene, perché la chiesa fu in parte distrutta dai bombardamenti.

Nel 1945, terminata la guerra, il cuore viene restituito nel corso di una cerimonia solenne, e riposto nella stessa colonna, con la chiesa ricostruita. Ma sorge un dubbio: avranno i nazisti restituito il cuore autentico di Chopin?

Nel 2008 un gruppo di scienziati richiede sopralluogo per confrontare il cuore con il resto del corpo seppellito a Parigi e così confermare l’autenticità della reliquia, oltre che per confermare la malattia che lo portò alla tomba. Ma i religiosi si opposero, considerandolo una sorta di profanazione. Però è generalmente accettato che i dubbi sull’autenticità del cuore sono infondati, perché è stato dimostrato che sia il contenitore che i sigilli, come anche l’aspetto del cuore sono dell’epoca dei fatti.

– Monumento a Chopin, Parco “Łazienki”, opera di Wacław Szymanowski, iniziato nel 1908 e terminato nel 1926.

Nel 2014 fu fatto un sopralluogo superficiale per controllare lo stato di conservazione dello stesso e che l’alcohol non si fosse evaporato. Con grande sigillo e segretezza, 13 persone di notte, fra cui scienziati e l’arcivescovo di Varsavia, osservano il cuore senza toglierlo dal barattolo e scattano centinaia di foto. I risultati dell’operazione vengono resi noti solo dopo 5 mesi e certificano lo stato di buona conservazione del reperto e la tubercolosi come causa della morte. Ma la comunità scientifica internazionale non accettò questi risultati perché un esame visivo non è sufficiente.

– Una delle panchine di Varsavia dove si possono consultare gli itinerari ‘chopiniani’, scricare applicazioni inerenti alla vita e opera di Chopin e ascoltare brani della sua musica

Dopo le varie ipotesi formulate e dopo l’ottenimento di un’altra straordinaria autorizzazione per un ulteriore esame visivo del cuore di Chopin, questo fu realizzato nel 2017 e determinò che molto probabilmente fu una pericardite, causata dalla tubercolosi. C’è da considerare che il certificato di morte, che andò distrutto, indicava come causa della morte una tubercolosi dei polmoni e della laringe. Tuttavia la posteriore autopsia, effettuata tre giorni dopo la morte, non aveva confermato cambiamenti polmonari tubercolari affermando che la sua malattia era sconosciuta alla medicina contemporanea.

A Varsavia Chopin è presente ovunque: cominciando dall’aeroporto che porta il suo nome passando per scuole, ristoranti, negozi, parchi. Nella Via Reale, nella città vecchia, ci sono panchine multimediali di granito che indicano itinerari chopiniani e, pigiando un bottone, diffondono la musica del loro grande compositore. Ognuna suona un brano diverso e racconta una storia della sua vita. Le panchine sono state disposte nel 2010, bicentenario della nascita del compositore. E poi ci sono i concerti in diversi luoghi fra i quali il più famoso è il Parco dei Bagni Reali “Łazienki”, e dove si può vedere una delle migliori statue dedicate all’artista, ricostruita nel 1958 dopo essere stata distrutta dai nazisti.

– Museo Chopin, Varsavia

E si vuole approfondire ancora un po’, allora è altamente consigliata una visita al museo Chopin, dove potremo vedere la sua maschera mortuaria e un calco delle mani, ambedue fatte in sede di autopsia, oltre che al suo famoso piano Pleyel, oggetti personali, ritratti, lettere, disegni e molte altre notizie e curiosità. Ma anche a Maiorca, nella Certosa di Valldemossa, si può visitare la cella1 che Chopin e George Sand affittarono nel loro breve soggiorno sull’isola.

——

Anche se viene chiamata ‘cella’, si tratta di tre stanze con giardino appartenenti al complesso del monastero. Nel programma di alienazione dei beni della Chiesa da parte dello stato spagnolo, nel 1835 questo monastero fu espropriato, cacciati i monaci e le ‘celle’ affittate.

Per saperne di più rimetto alla lettura del libro della scrittrice polacca, premio Nobel 2018, Olga Tokarczuk, ‘I Vagabondi’, Milano 2019.

La Corona Férrea

26 martedì Mar 2024

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Artículos en español, Arte

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Catedral de Monza, Corona Férrea, Coronación reyes de Italia, De obitu Teodosii, Familia Zavattari, Gregorio Magno, Orden de los Humillados, reliquias, Sagrado Clavo, San Ambrosio, Santa Elena, Teodolinda, Teodorico, Yelmo de Costantino

La corona ferrea  – Puoi leggere quest’articolo in italiano cliccando qui

Es probable que no exista en el mundo una corona tan cargada de historia, leyenda y misterio como la Corona Férrea. Una corona que simbolizaba que el poder regio que otorgaba a quien con ella era coronado era de origen divino, por su conexión con la pasión de Cristo. Representaba, al mismo tiempo, la continuidad con el Imperio Romano, por ser el punto de unión entre la crucifixión y el emperador Constantino. Nada menos. Y todo esto porque, hasta hace muy poco tiempo (1993) se creía que el aro metálico que se encuentra en el interior de la Corona Férrea estaba hecho a partir de un clavo de la crucifixión fundido.

Por este motivo la Corona Férrea fue utilizada durante siglos para la coronación de numerosos soberanos, como muchos reyes de Italia, entre los cuales Carlomagno (800), Berengario I (920), Enrique IV (1081), Federico Barbarroja (1154), Carlos IV (1355), Carlos V de Habsburgo (y Primero de España, 1530), Francisco I (1792), Ferdinando I de Austria (1838) y Napoleón (1805). Este último se colocó él mismo la corona pronunciando la famosa frase “Dios me la ha dado y ¡ay de aquél que me la quite!”. La coronación se desarrollaba generalmente en Milán, en la basílica de San Ambrosio, salvo en algunas ocasiones en la que tuvo lugar en Monza o en Pavía, y de forma excepcional en otras ciudades. Como la de Carlos V que fue en Bolonia, en la basílica de San Petronio. Sin embargo, ningún rey de los Saboya se coronó con ella. Ésta tan solo fue expuesta en Roma en ocasión de las exequias de Victor Emanuel II (1878) y de Humberto I (1900).

– San Miguel Mayor, Pavia. En la nave central fue coronado con la Corona Férrea Federico Barbarroja
– Punto en la nave central de San Miguel Mayor de Pavía donde fue coronado Federico Barbarroja
– Coronación de Napoleón como re de Italia (1811-1814) Gaetano M. Monti. Pinacoteca de Brera, Milán

Según la tradición transmitida (o creada) por San Ambrosio a través de su famosa oración fúnebre por la muerte de Teodosio el Grande (de obitu Teodosii) del año 395, la emperatriz Elena, madre de Constantino, descubrió en Jerusalén la Vera Cruz1  y los clavos de la crucifixión2. La emperatriz utilizó uno de estos clavos para hacer el bocado3 (o freno) del caballo de su hijo, para asegurarle protección en batalla, y otro lo mandó engarzar en una corona-diadema:

«De uno clauo frenum fieri praecepit, de altero diadema intexuit; unum ad decorem, alterum ad deuotionem uertit»4.

(«De un calvo recabó un bocado, el otro lo engarzó en una diadema; uno para que sirviera de ornamento, el otro como piedad religiosa»)

Ahora sabemos que el aro metálico no es de hierro sino de plata, por lo que se desmontaría la secular tradición de la conexión entre la corona, el clavo de la crucifixión y el yelmo de Constantino. ¿O no?

En ausencia de documentación, se han formulado varias hipótesis sobre el origen de este precioso objeto, algunas corroboradas por el análisis del carbono-14 según el cual algunas partes de la corona se remontarían al V-VI siglo y otras serían datables entre el 690 y el 975.

La corona está formada por 6 placas de oro y plata altas 53 mm, decoradas con gemas, y unidas entre ellas con unas bisagras. Tiene una circunferencia de 48 cm y un diámetro interior de 15 cm.

– La reina Teodolinda. Capilla de Teodolinda o Zavattari. Catedral de Monza

Según algunas hipótesis la diadema de Constantino habría sido traída a Italia por el mismo Teodosio y sucesivamente enviada a Constantinopla por Odoacro, a la caída del Imperio Romano de Occidente, junto con otras ornamenta palatii. Pero el emperador bizantino Anastasio I Dicoro, la habría devuelto a Teodorico (493) que la habría reclamado para él. Éste la habría enganchado a su yelmo (kamelaukion). Existe también una tradición según la cual el papa Gregorio Magno habría donado el clavo a Teodolinda, reina de los Longobardos, que mandó construir la catedral de Monza, quien lo hizo encrustar en una corona que ella misma habría encargado.

La corona estaba normalmente custodiada en la catedral de Monza que, por el privilegio de albergar la corona, fue declarada ciudad regia, propiedad directa del emperador. Pero algunas vicisitudes hicieron que la corona, en 1248, fue dada en prenda a la Orden de los Humillados, como garantía de un fuerte préstamo para pagar un impuesto extraordinario de guerra. Fue recuperada en 1319. Sucesivamente fue trasladada a Aviñón, durante la cruzada papal contra los Visconti, donde permaneció desde 1324 a 1345.

– Catedral de Monza

Con sus medidas actuales, la Corona Férrea es demasiado pequeña para poder ser utilizada sobre la cabeza de una persona adulta. Los estudios sobre la simetría de las placas y decoración de las gemas, además de revelar que ha habido varias intervenciones de restauración/sustitución en diferentes épocas, demuestran claramente que faltan algunas placas, que en origen habrían sido ocho, o según otros estudios, nueve, teniendo por lo tanto un diámetro adecuado para su función. Las placas que faltan habrían sido sustraídas durante el período en el que la corona permaneció bajo la custodia de la Orden de los Humillados. De hecho, sólo los documentos sucesivos al 1300 la describen como ‘pequeña’, y para las coronaciones que hubo desde aquél momento en adelante se tuvo que recurrir a una suerte de ‘soporte’, o cubrecabeza, en forma de cono para poder ser llevada.

La identificación del aro metálico interior con el clavo de Cristo, que habría sido añadido para ayudar a mantener juntas las placas tras el robo, probablemente se remonta al siglo XVI, y más precisamente a la época de San Carlos Borromeo, quien fue también quien relanzó la veneración del ‘Sacro Morso’ (el bocado sagrado)3. A principios del siglo XVIII, a pesar de la absoluta falta de pruebas de que en la corona hubiera un clavo de la crucifixión, las autoridades eclesiásticas autorizaron la veneración de la misma como reliquia, tan solo basándose en una tradición secular.

– Medallón con la efigie de Constantino el Grande (315)

Pero volviendo al origen de la Corona Férrea, recientes estudios de Valeriana Maspero5, indicarían que ésta habría realmente sido la diadema de Constantino basándose, entre otras cosas, en un medallón del año 315 con la efigie de Constantino llevando la corona enganchada al yelmo. Pero la investigadora va más allá: habiendo constatado la existencia de pequeños agujeros en el borde de algunas placas, concluye que éstos habrían sido utilizados para que en ellos pudieran pasar unos enganches metálicos, necesarios para sujetar la corona al yelmo. Y estos enganches podrían haber sido recabados del sagrado clavo. Cuando los bizantinos desengancharon la diadema del yelmo para enviarla a Teodorico, se quedaron, además de con el yelmo, también con los enganches, o aritos. Avala esta hipótesis el hecho de que durante los análisis científicos se han hallado en estos agujeros unos residuos ferrosos. Los análisis realizados con el carbono-14 que datan la corona no antes del siglo V, probablemente no habrían llegado hasta el cuerpo primitivo de la corona, que ya desde la época de Teodorico sufrió varias intervenciones de adaptación, además de las, numerosas, de restauración y sustitución posteriores de partes perdidas o dañadas, como antes indicado.

Pero los enganches podían también ser utilizados para suspender o colgar la corona, teniendo en este caso también la función de corona votiva.

– Capilla de Teodolinda o Zavattari. En el tabernáculo del altar mayor está custodiada la Corona Férrea.
– Altar mayor de la capilla de Teodolinda. en el tabernáculo abierto (fondo rojo) se entrevé la Corona Férrea

La corona aún está en la catedral de Monza, y puede ser admirada en la capilla de Teodolinda o Zavattari, decorada con frescos del siglo V por el taller de la familia Zavattari. A finales de 1800 el Rey Humberto I comisionó un altar relicario destinado a contener el precioso objeto y en el interior de la capilla se colocó el sarcófago de la reina. En 2015 se concluyó la restauración, que tuvo una duración de 6 años, que ha devuelto su original esplendor a las 45 escenas que narran la historia de Teodolinda, obra maestra de la pintura gótico-lombarda.

—

1.- Véase el artículo “Historia de la Vera Cruz, de Antoniazzo Romano”

2.- Lee también “Dónde están los verdaderos clavos de Cristo?”

3.- Está actualmente en el Duomo de Milán. Para saber más aconsejo la lectura del artículo “El bocado del caballo de Constantino”

4.- da Sancti Ambrosii mediolanensis episcopi [c. 340-397] De Obitu Theodosii – oratio in “Patrologiae” cursus completus Series prima – Accurante Jaques Paul Migne Patrologiae T. XVI – S. Ambrosii tomi secundi Parisiis, Excudebat Vrayet 1845

5.- V. Maspero, La corona ferrea. La storia del più antico e celebre simbolo del potere in Europa, Monza, 2003. – V. Maspero, “Alla ricerca del Sacro Chiodo. La ricostruzione dell’elmo diademico di Costantino”, en Arte Cristiana, fasc. 823, vol. XCII (julio-agosto 2004), pp. 299-310

La Corona Férrea es el sujeto de una película de 1941 de Alessandro Blasetti, con el título homónimo, que puede verse abriendo este enlace.  https://www.youtube.com/watch?v=ETLjUr6KdJU

La colonna di Simeone Stilita

08 domenica Ott 2023

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Arte, Storia

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Concilio di Calcedonia, Deir Sim’an, eulogie, Monofisismo, Qal'at Sim'an, Reliquie, Simeone Stilita, Stiliti, Telanisso, Teodoreto di Cirro, Zenone

La columna de Simeón Estilita Puedes leer este artículo en español abriendo este enlace

-Resto della colonna di Simeone Stilita. Complesso monumentale di Qal’at Sim’an (Siria)

A circa 30 Km da Aleppo, Siria, in una località anticamente chiamata Telanisso ed oggi Deir Sim’an (Monastero di Simeone) o anche Qal’at Sim’an (Rocca di Simeone), si trovano i ruderi di un gran complesso monastico paleocristiano che nel 2001 è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Si tratta della chiesa di San Simeone Stilita, il Vecchio (per distinguerlo da San Simeone il Giovane). Al centro del complesso si trova una gran pietra bianca di circa due metri  che in realtà è ciò che resta di una grande colonna, la colonna sulla quale visse San Simeone gli ultimi 37 anni della sua vita, che per questo motivo ricevette l’attributo di Stilita (dal greco stylos, colonna) e che diede iniziò a un particolare tipo di ascetismo denominato, per l’appunto, stilismo e stiliti coloro che lo praticavano.

Ma chi era Simeone Stilita? 

Grazie a quanto ci ha lasciato scritto Teodoreto1, vescovo di Ciro, compatriota e contemporaneo di Simeone, sappiamo che Simeone nacque in Cilicia verso il 390 da una famiglia di pastori. Già da ragazzo sentì il desiderio di portare avanti una vita religiosa ed entrò in un convento dove per ben 10 anni visse una vita di preghiera e mortificazione, mangiando una volta alla settimana, con lo sconcerto degli altri monaci del convento. Quando arrivò al punto di legarsi intorno al corpo un cilicio fatto di foglie di palma che lo riempì di piaghe negandosi a farsi curare, Simeone fu incoraggiato a lasciare quella comunità per evitare che fosse imitato da altri monaci. Quindi Simeone si trovò una capanna sul pendìo di un monte dove rimase rinchiuso per tre anni mangiando solo pane e acqua che gli venivano lasciati fuori la porta e dove passava le intere quaresime senza mangiare. Successivamente, Simeone si isolò su quella stessa montagna legato ad un sasso per non muoversi a più di 20 metri. Simeone intanto era diventato famoso e molta gente si avvicinava a lui per chiedere consiglio o preghiere di guarigione. Era soprattutto celebre nel curare con le sue preghiere problemi di sterilità che venivano a lui trasmessi per iscritto o non direttamente dalle interessate, perché non voleva essere avvicinato dalle donne, neanche da sua madre. Poco a poco comició ad essere ritenuto un santo, non solo per i miracoli che faceva, ma anche per la sua resistenza non naturale alle intemperie e ad ogni genere di fatica. Pregava in posizione eretta, con le braccia aperte a forma di croce e la sua posizione più frequente era quella di curvarsi dalla fronte ai piedi, flessione che poteva fare anche più di mille volte di seguito. Quanto ai miracoli, oltre alle guarigioni, c’era il dominio dei fenomeni naturali (siccità, tempeste…) o quelli che addirittura potevano risolvere problemi di tipo sociale.

Siccome la gente continuava ad aumentare, Simeone si fece costruire una piattaforma protetta da una balaustra su una colonna di circa quattro metri che trovò nelle vicinanze, sulla quale si trasferì. E più la folla aumentava, più alta diventava la colonna, che poco a poco raggiunse i sedici metri. Le persone quindi, dovevano usare una scala per parlare con Simeone. Questi veniva alimentato da coloro che gli portavano acqua o qualche dattero.

La fama di Simeone si diffuse in tutto l’impero bizantino e fu visitato da molti personaggi illustri, addirittura da Teodosio II e sua moglie Aelia Eudocia. Anche l’imperatore Leone I tenne molto presente il contenuto di una sua lettera. Addirittura ebbe una sorta di corrispondenza con Genoveffa di Parigi2, per mezzo dei pellegrini che lo visitavano e che portarono la sua fama in molte parti d’Europa, dove era rappresentata la sua immagine e quella del suo successore Simeone il Giovane anche su certe ampolle portate dall’Oriente, che contenevano olio benedetto o polvere dei luoghi santi, chiamate ‘eulogie’.

Simeone morì nel 459 a circa 70 anni. Le sue spoglie subito furono disputate fra Antiochia e Costantinopoli. La spuntò Antiochia perché la maggior parte di queste rimasero in questa città. Alcune reliquie furono trasferite a Costantinopoli e altre viaggiarono per il Mediterraneo.

Questo modello si ascesi nato e sviluppatosi in Siria, si estenderà anche nel resto della Chiesa cristiana orientale. E si mantenne anche dopo il grande scisma della Chiesa, Oriente-Occidente, ed in Russia addirittura si protrasse fino al secolo XV. Gli stiliti spesso alzavano le loro colonne nei pressi dei centri abitati e delle strade commerciali. Predicavano a davano consigli ai viandanti e guidavano la gente nella preghiera. Teodoreto li denominò ‘candelabri della fede’.

-Complesso monastico di Qal’at Sim’an. La colonna è nella parte centrale che unisce le quattro basiliche e che era sormontata da una cupola ottagonale
-Complesso monastico di Qal’at Sim’an. Al fondo si intravede l’abside di una delle basiliche
-Complesso monastico di Qal’at Sim’an. Facciata principale della basilica

Ma non era l’unico modello. Le manifestazioni ascetiche in questa zona si manifestavano in diversi modi, frutto di un’esplosione monastica avvenuta in Siria e zone limitrofe tra il IV ed il VI secolo, con migliaia di comunità e molte iniziative individuali, come quella di Simeone, che non si sottomettevano ad alcuna regola comune. C’erano quindi i dendriti, che vivevano in cima agli alberi, quelli che si rinchiudevano in una grotta o in una torre, o coloro che stazionavano sempre in piedi nel medesimo luogo o che si coprivano di catene, o quelli che semplicemente vivevano una vita selvaggia, rifiutando il cibo cotto e la carne, di vestirsi e di lavarsi.

In quell’epoca, nel Cristianesimo primitivo c’erano diverse dottrine relative alla natura di Cristo, che non erano in linea con la posizione ufficiale (presenza in Cristo delle due nature, umana e divina) e per questo considerate eresie. Erano principalmente il nestorianesimo3, l’arianesimo4 e il monofismo5.  A quest’ultima appartenevano i cristiani della Siria.

E torniamo alla nostra colonna. Come dicevamo si trova al centro di un enorme complesso costruito per ordine dell’imperatore bizantino Zenone e completato nell’anno 490 in un tentativo di pacificare l’ambiente abbastanza irritato ed agitato a causa della disputa contro il monofisismo sollevata dal Concilio di Caledonia. Quattro edifici disposti in forma di croce in direzione dei quattro punti cardinali, erano uniti al centro da una cupola ottagonale che copriva la colonna. I quattro edifici erano quattro basiliche, una delle quali coronata all’estremità delle navate da tre absidi semicircolari, che in parte ancora si conservano. Al lato della basilica venne costruito un convento di grandi dimensioni collegato alla chiesa da un chiostro. Intorno al X secolo il santuario venne fortificato per difenderlo dai musulmani. Nonostante ciò la zona fu conquistata dai Selgiuchidi nel 1164.

Già dalla morte di Simeone la colonna era meta di molti pellegrinaggi, e con la costruzione della chiesa i pellegrinaggi aumentarono, favoriti anche dall’imperatore Zenone, diventando questo un grande luogo di culto.

La dichiarazione di questo monumento come patrimonio dell’Umanità  non è stato sufficiente a difenderlo dalla guerra che ha devastato la Siria. Curdi, turchi e gli aerei russi hanno combattuto in questa zona.

—-

1.- Teodoreto di Cirro, Historia Religiosa, cap. XXVI, ca. 440. Altre fonti: una vita del santo scritta in siriaco dai monaci del monastero sorto nei pressi della colonna; la vita scritta in greco dal monaco Antonio, autodefinito discepolo del santo, ma del quale non ne è chiara l’identità; un breve capitolo della Storia Ecclesiastica di Evagrio Pontico della fine del VI secolo.

2.- Genoveffa, posteriormente santa, Sainte Geneviève de Paris, patrona di questa città

3.- Prende il nome dal patriarca di Costantinopoli Nestorio. Dottrina che difendeva che le due nature di Cristo, divina e umana, sono completamente indipendenti tra di loro. E’ chiamata anche difisismo. Fu condannata dal Concilio di Efeso (431).

4.- Prende il nome dal monaco e teologo alessandrino Ario. L’arianesimo era la dottrina che nega la natura divina di Cristo. Solo il padre può considerarsi veramente Dio. Fu condannata dal Concilio di Nicea del 325, al quale partecipò l’imperatore Costantino il Grande.

5.- Monofisismo. Dottrina secondo la quale Cristo ha solo la natura divina. Fu creata e promossa da Cirillo, patriarca di Alessandria. Questa dottrina fu molto controbattuta dal Concilio di Calcedonia del 451 e condannata dal Secondo Concilio di Costantinopoli del 553. Il monofisismo esiste ancora fra i cristiani Copti d’Egitto e nella Chiesa Armena.

Reliquiari fantastici: la Stauroteca Bessarione

27 sabato Mag 2023

Posted by Nicoletta De Matthaeis in Arte, reliquiari

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Cardinale Bessarione, Gallerie dell’Accademia, Gregorio III Mammas. Giovanni VIII Paleologo, Irene Paleologina, Opificio delle Pietre Dure, reliquiari, Reliquie, Scuola Grande di Santa Maria della Carità, Stauroteca Bessarione, Venezia

Relicarios fantásticos: la Estauroteca Bessarione Puedes leer este artículo en español abriendo este enlace

Si tratta di un magnifico reliquiario/stauroteca1 bizantino datato intorno al XIII-XIV secolo, con aggiunte del XV secolo, commissionato molto probabilmente dalla principessa bizantina Irene Paleologina, o per lo meno il crocefisso custodito all’interno, ed il resto realizzato in un secondo momento. Di fatto, il nome di questa principessa lo troviamo inciso lungo il bordo di detto crocefisso, indicando che questa principessa lo aveva fatto adornare in argento.2  Fu donato verso il 1430 dall’imperatore Giovanni VIII Paleologo (1425-1448) al suo confessore Gregorio III Mammas, futuro Patriarca di Costantinopoli (1443-50), che insieme al Cardinale Bessarione, (Patriarca di Costantinopoli dei Latini e Legato pontificio a Venezia) propugnava l’unione della Chiesa Ortodossa con la Cattolica.

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