Esiste il Purgatorio?

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Se non sei stato un gran peccatore, o se lo sei stato e ti sei pentito ma ancora ti rimane qualche peccatuccio hai ancora la possibilità di andare in Paradiso passando previamente dal Purgatorio che, come il suo stesso nome indica, serve per ‘purgare’ l’anima e lasciarla pura e leggera, pronta per presentarsi alla porta di San Pietro e così vivere eternamente al fianco di Nostro Signore.

Il concetto di Purgatorio, come terzo luogo dell’aldilà dove vengono mondati i peccati minori, è il risultato di una lenta e progressiva mutazione delle credenze medievali, che giunge a compimento intorno alla seconda metà del XII secolo, ma che in un certo modo vuole basarsi in alcuni passi biblici (Mt. 12, 32; 1 Cor. 3, 11-15) e alla consuetudine di pregare i morti per alleviarne la condizione e ridurre il tempo di permanenza (2 Mac. 12, 39-46). Ma fu certamente Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, che lo fece diventare famoso, dandogli anche una forma concreta: una montagna che emerge dal mare costituita da cornici concentriche.

La Chiesa Cattolica lo include nel suo Catechismo, formulando la dottrina della fede relativa al Purgatorio sancita soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento.

– Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, Roma

Ma se sei scettico e hai bisogno di vedere per credere allora il Museo delle Anime del Purgatorio è il posto che fa per te. Si trova a Roma, sul Lungotevere Prati, in un locale adiacente alla chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, unica chiesa neogotica della capitale. Più frequentata da curiosi che da persone in cerca di risposte, questo piccolo museo nacque per iniziativa del padre Victor Jouët, missionario francese, che nel 1894 fece costruire una chiesa/oratorio1, su un terreno di sua proprietà, per farne la sede dell’Associazione del Sacro Cuore del Suffragio delle Anime del Purgatorio. Un giorno dell’anno 1897, nella cappella del Rosario si sviluppò un incendio che misteriosamente non solo risparmiò il quadro dell’altare ma tra le fiamme sarebbe apparso un volto sofferente che rimase impresso sulla parete. La foto di quest’immagine è visibile nel museo.

Credendo che fosse un’anima del purgatorio che supplicava aiuto e suffragio, il padre Jouët decise de ricercare ulteriori testimonianze di defunti e dei loro contatti con i congiunti vivi. E così fece un lungo viaggio per l’Europa e raccolse molto materiale: impronte straordinarie, foto, stoffe, tonache, breviari, testimonianze di apparizioni e manifestazioni di ogni tipo. Il materiale raccolto fu esposto nella sacrestia della chiesa per dimostrare che le anime del Purgatorio cercano di attirare l’attenzione dei vivi per chiedere loro preghiere e messe al fine di alleviare le loro sofferenze. Però la raccolta subì un drastico ridimensionamento nel 1921, alcuni anni dopo la morte del padre Jouët avvenuta nel 1912. Furono eliminati tutti i reperti non ritenuti assolutamente autentici.

La collezione esposta attualmente si compone di una ventina di oggetti diversi, tra i quali: un libro di preghiere con l’impronta di una mano su una pagina, la federa di un cuscino impressa a fuoco dall’anima di una suora morta di tisi nel 1894, una camicia da notte con impressa sulla manica la bruciatura di una mano, un berretto di un vedovo marchiato dall’anima di sua moglie e la fotocopia di una banconota da dieci lire in parte bruciata, che lo spirito di un sacerdote morto avrebbe lasciato insieme ad altre banconote, per esortare i suoi confratelli a fargli dedicare una messa o delle impronte infuocate sugli abiti talari e sulla camicia di Isabella Fornari, badessa delle Clarisse di Todi nel 1731 apparsa a una consorella per convincerla a pregare per la salvezza della sua anima.

Non indagheremo sul fatto che questo museo dimostri effettivamente l’esistenza del Purgatorio agli ‘scettici ed increduli’, però bisogna riconoscere che è per lo meno ‘singolare’.

– Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, Napoli

Chi invece non ha nessun dubbio sull’esistenza del Purgatorio, sono i fedeli della Chiesa Santa Maria della Anime del Purgatorio ad Arco, Napoli, chiamata anche la Chiesa delle Anime Pezzentelle, perché in questo luogo venivano riposti i corpi di numerosi defunti senza nome, indigenti o vittime della peste che non potevano disporre di una degna sepoltura. E’ una bellissima chiesa del ‘600 che custodisce diverse opere d’arte che ricordano il Purgatorio, ma che è soprattutto famosa per il suo ipogeo, al quale si accede attraverso una botola, che ospita numerosi resti umani di cui sopra, utilizzati dai fedeli come intermediari per le richieste di intercessione con le anime del purgatorio, soprattutto i teschi. Potremmo dire che questo spazio potrebbe essere considerato come “un pezzo” di Purgatorio.

Il culto delle anime pezzentelle (da `petere’, in latino ‘chiedere’) era a quei tempi fortissimo e anche oggi è molto sentito. Consiste nell’adottare un teschio qualsiasi, testimone tangibile della presenza di un’anima, fra i molti sepolti in questo luogo, ripulirlo e sistemarlo in un altarino, che lo si abbellisce con ceri, rosari, fiori finti e altri oggetti, e dove si va a pregare per la sua anima per facilitargli la strada dal Purgatorio al Paradiso. Si aspetta quindi che quest’anima appaia in sogno e riveli il suo nome. Da quel momento in poi si considera ‘adottata’ e vengono quindi intensificate le cure e le preghiere creando così uno speciale rapporto fra la persona che lo cura e quest’anima.

Ma tutto questo, perché? Perché quando finalmente l’anima riesce a liberarsi dal castigo del Purgatorio, una volta in Paradiso esaudirà le richieste della persona che l’ha aiutata, normalmente problemi relativi alla vita quotidiana, ma anche matrimoni o prole: ‘do ut des‘. Ma che accade se l’anima non si rivela in sogno nonostante le attenzioni ricevute e non esaudisce le preghiere? Il teschio viene riportato nell’ossario comune da dove fu prelevato, ponendolo con la faccia rivolta alla parete, e se ne adotta un altro. Ci si rivolge ad anime di morti sconosciuti, chiamate appunto ‘pezzentelle’, proprio per essere più sicuri del felice esito dell’intervento. Perché  le anime abbandonate, mendicanti e derelitte hanno un maggiore bisogno di essere ricordate e che qualcuno faccia qualcosa per loro, e proprio per questo sono quelle che maggiormente possono capire le sofferenze di chi le prega dimostrandolo con l’essere riconoscenti.

Quando scendiamo nell’ipogeo, in questo piccolo Purgatorio, vediamo lungo le pareti nicchie, altarini, scarabattoli dedicati a queste anime pezzentelle. Ogni teschio ha il suo nome e la sua storia scaturiti dalla fantasia di chi li cura. Fra tutti, il più famoso è il teschio di Lucia, con una preziosa corona ed un velo da sposa.

– Altarino di Lucia
– Lucia

La povera Lucia, forse figlia di un principe, fu fatta sposare contro la sua volontà e dopo le nozze si suicidò o, secondo altre versioni, morì di dolore o annegata. Le leggende intorno a Lucia sono molte e svariate, ma certamente non era una persona senza nome.

Quindi, come poteva trovarsi il suo cranio fra le anime pezzentelle? Sara proprio il suo? Ma che importanza ha!

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1.- La costruzione dell’attuale chiesa neogotica si iniziò nel 1910 su progetto dell’architetto Giuseppe Gualandi, e terminò nel 1917, dopo la morte del padre Jouët.

Las cabezas de Santiago el Mayor y  Santiago en Menor; pero ¡qué confusión!

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Le teste di San Giacomo il Maggiore e di San Giacomo il Minore: ma che confusione!! Puoi leggere qesut’articolo in italiano cliccando qui

Imagen de la izquierda: Martirio de Santiago el Mayor. F. Zurbarán (1598-1664) – Museo del Prado, Madrid — Imagen de la derecha: Martirio de Santiago el Menor. P. Orrente (1580-1645) – Museu Belles Arts, Valencia

Santiago de Zebedeo y Santiago de Alfeo son dos de los doce apóstoles. El primero, Santiago, hijo de Zebedeo y hermano de Juan Evangelista, fue el primero de los apóstoles en ser martirizado. Según la tradición, predicó en la península ibérica pero en el 44 d.C. volvió a Jerusalén, donde fue apresado y decapitado por orden de Herodes Agripa. Su cuerpo, incluida su cabeza, fue sepultado probablemente en algún lugar cercano. La tradición occidental dice que fue exhumado por sus discípulos y que éstos lo pusieron en una barca que, sin timón ni vela, tan solo gracias a la intervención divina, llegó hasta la costa atlántica del norte de la península ibérica, lo que hoy en día es Galicia, en un lugar cercano al que después de unos ocho siglos fue hallado, junto con los cuerpos de sus dos discípulos. Este hallazgo milagroso volvió a encender la devoción por el apóstol en tierra hispánica, o tal vez la creó, fundando un lugar a él dedicado en el campo donde aparecieron las estrellas que indicaban la presencia de las reliquias (el campus stellae) que a partir de ese momento pasó a llamarse Santiago (en honor al santo) de Compostela.

Este lugar, desde el final del primer milenio, se convirtió, y continúa siendo, una de las metas de peregrinaje más importantes del mundo, como es sabido por todos. Y para distinguirlo del otro Santiago (de Alfeo o el Menor), este apóstol es conocido como Santiago el Mayor1.

El segundo Santiago (el Menor), hijo de Alfeo era también llamado ‘el hermano del Señor’ porque probablemente fuera su primo, o un familiar. Conocido también como el ‘Justo’, tomó las riendas de la Iglesia de Jerusalén porque Pedro, Santiago el Mayor y Pablo estaban por el mundo anunciando la buena noticia. Su martirio tuvo lugar en el séptimo año del emperador Nerón, por lo tanto alrededor del 61-62, por orden del sumo sacerdote Ananos el Joven. Santiago fue invitado por los jefes judíos a subir al pináculo del templo para hacer un discurso al pueblo con el fin de hacerle desistir de la fe en Jesús. Pero su discurso fue bien distinto, atrayendo así las iras de los Judíos que lo empujaron, haciéndolo así precipitar del templo. Pero como el apóstol no se murió en la caída, empezaron a lapidarlo para ser luego golpeado con una maza de lavandero. Tras su martirio fue sepultado por los fieles cerca del templo. En el siglo IV sus restos fueron hallados y llevados a una iglesia de nueva construcción en Jerusalén y sucesivamente, en el siglo VI, en otra más, construida por el emperador Justino II, siempre en Jerusalén.

Las reliquias de este apóstol actualmente se encuentran muy diseminadas por el mundo, muchas de las cuales en Roma, en la iglesia de los XII Apóstoles junto con las del apóstol Felipe. Su cabeza estaría actualmente conservada en la catedral de Santiago de Compostela, en un busto relicario2, en la capilla de las reliquias, donde ocupa un lugar preminente, porque la habría traído, sustraída de Jerusalén, el obispo de Braga (actual Portugal) Mauricio Burdino, hacia 1109 y depositada temporalmente, debido a la peligrosidad del camino de vuelta a su patria, en el monasterio de Carrión de los Condes, en tierra castellana. Hacia 1116 Urraca, reina de Castilla y León, se adueñó de ella y la donó a la iglesia de Santiago de Compostela, en aquél momento regida por el arzobispo Diego Gelmírez.

Por lo tanto en Santiago de Compostela estarían: el cuerpo entero de Santiago el Mayor (aunque partes de su cuerpo están en muchos lugares del orbe cristiano) y la cabeza de Santiago el Menor. Pero no es tan sencillo.

Estatua de Santiago el Mayor que preside el altar mayor de la catedral de Santiago de Compostela

La Historia Compostelana3, una crónica del siglo XII, presenta dos diferentes versiones del traslado de las reliquias de Santiago el Mayor. La primera, la translatio de Mauricio, indica cómo el cráneo de Santiago, pero el Mayor, no el Menor, habría sido sustraído por el obispo Mauricio en Jerusalén durante una peregrinación, habiendo después entrado en posesión del arzobispo de Santiago de Compostela, Diego Gelmírez. La segunda versión, que prevalecerá sobre la primera a partir de cuando empieza a crecer el prestigio de la sede compostelana, y que es la actualmente ‘oficial’, sostiene la llegada a Compostela del cuerpo entero de Santiago el Mayor, como ya explicado, haciendo por consiguiente pasar, a partir del siglo XIV en adelante, la cabeza de éste por la de Santiago el Menor.

Capilla de las reliquias de la catedral de Santiago de Compostela. Abajo, en primer plano, el relicario que contiene la cabeza de Santiago el Menor
Relicario que contiene la cabeza de Santiago el Menor. Capilla de las reliquias de la catedral de Santiago de Compostela

Últimamente se han dado a conocer los resultados de un estudio4 realizado sobre el cráneo de Santiago el Menor (desde hace tiempo hecho añicos) conservado en la catedral de Santiago de Compostela, por el antropólogo Fernando Serrulla, comisionado hace unos treinta años por la catedral compostelana y por el gobierno de Galicia. Según este estudio, el cráneo de Santiago el Menor presenta traumas compatibles con el martirio que, según las escrituras, habría padecido Santiago el Mayor (fue decapitado) no evidenciándose lesiones como las que habrían provocado la muerte de este individuo si hubiera padecido el martirio de Santiago el Menor, es decir un trauma craneoencefálico provocado por los golpes de un objeto contundente. Sin embargo presenta señales de decapitación provocados por un instrumento similar a una espada. La lesión frontal se produjo antes de la parietal, tratándose probablemente de un caso de ejecución por la así llamada muerte de los tres golpes, que consistía, en la época romana, en asestar un golpe lateral con un arma corta y contundente que aturdía, después un segundo golpe con la víctima ya en el suelo y un tercer golpe que aseguraba la muerte seccionando el cuello, aunque evidencias de este tercer golpe no se aprecian en los restos. Sin embargo, ningún estudio ha sido realizado sobre los restos de Santiago en Mayor, sobre todo después de 1884, es decir desde cuando el papa León XIII, con la bula Deus Omnipotens confirmó la autenticidad de los restos de Santiago el Mayor en Compostela, a pesar de las numerosas dudas que existen sobre la autenticidad de estos restos, sobre todo en ámbito científico.

Iglesia de Santiago, barrio armenio, Jerusalén. Capilla en la que, bajo el altar, se conserva el cráneo de Santiago el Mayor

Al margen de todas estas historias y/o tradiciones, hay otra, la que une a los dos apóstoles con la iglesia de Santiago en el barrio armenio de Jerusalén, en la ciudad vieja. Fuentes escritas a partir del siglo XII confirman la veneración en este templo de los restos de Santiago el Menor y de la cabeza de Santiago el Mayor. Esta última habría llegado a ese lugar desde Jaffa, desde donde el cuerpo sin cabeza del apóstol habría zarpado llegando milagrosamente a Compostela. La veneración armenia de Santiago empezaría durante el reino de la reina Melisenda (1143-1152), viuda de Folco de Anjou e hija de Baldovino, rey de Jerusalén, y de Morfia de Militene, princesa de origen armenio, quien habría mandado ampliar la iglesia jerosolimitana de Santiago el Menor, creada sobre la casa del apóstol, y que contiene una capilla dedicada al Mayor. Según la tradición armenia, la cabeza de Santiago el Mayor, una vez decapitado, fue llevada por un ángel a Santiago el Menor, aún vivo, quien la inhumó en el terreno donde habría estado su casa.

Por lo tanto, tenemos en una misma iglesia los restos de Santiago el Menor (no sé cuántos porque en el mundo hay muchas, sobre todo en Roma) y la cabeza de Santiago el Mayor. Es decir exactamente el contrario que lo que supuestamente tenemos en Santiago de Compostela. Pero la devoción principal de la comunidad armenia es por Santiago el Menor, aunque la veneración por la cabeza de Santiago el Mayor todavía goza de mucha devoción por parte de la iglesia latina de Jerusalén, por ejemplo de la comunidad franciscana.

Y ya, para decirlo todo, existe también otro cráneo atribuido a Santiago el Menor en Ancona (Italia), presente desde la Edad media, y hoy conservado en el museo diocesano anexo a la catedral de San Ciriaco. Esta reliquia sería compatible con las conservadas en la iglesia de los Santos Apóstoles de Roma…

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1.-  Para saber más sobre el Camino de Santiago y las reliquias del apóstol, remito a la lectura de mis trabajos:  El ‘Camino de Santiago: la peregrinación de moda’ y ‘Legati a una reliquia: Un viaggio alla scoperta di sette reliquie che hanno cambiato la storia

2.- Busto relicario de 1322, realizado en plata dorada con esmaltes y gemas.

3.- Publicada por primera vez en 1765 por Enrique Flórez, en la obra ‘España Sagrada’

4.- F. Serrulla. A Forensic Anthropological Study of Human Remains Attributed to the Apostle James Alphaeus, en Forensic Antrhropology, University of Florida. Sept. 10, 2021.

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Las reliquias de San Pablo, de San Pedro, de Santiago el Mayor , de San Tomás, de San Bartolomé, de San Andrés, de San Juan Evangelista

Guru Granth Sahib: Il libro sacro dei Sikh

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In seguito alla predicazione di Guru Nanak, nel XVI secolo, nacque il Sikhismo nella città di Kartarpur Sahib, Punjab, India nord occidentale, e attualmente è diffuso in tutto il mondo con circa 28 milioni di fedeli, anche se la maggior parte risiede nel Punjab e nei paesi anglofoni. Gli insegnamenti del suo fondatore, come anche quelli dei nove Guru che successero al primo, sono contenuti nel Guru Granth Sahib1, il libro sacro della comunità.

Il decimo e ultimo di questi Guru, Guru Gobind Singh Ji prima di morire, nel 1708, decise che il Guru Granth Sahib doveva essere il suo successore, il prossimo Guru, e perciò da quel momento in poi il libro sacro dei Sikhs2 è considerato come una persona, un guru vivente, l’ultimo e imperituro.

Questo testo sacro si compone di 1.430 pagine che raccolgono non solo gli insegnamenti dei suoi dieci Guru, ma anche quelle di diversi santi di altre religioni, tra cui l’Induismo e l’Islam. Contiene circa 3.380 inni e più di 15.000 strofe. E’ scritto in hindi arcaico e la scrittura usata è un alfabeto speciale, detto Gurmukhi, istituito dal secondo Guru. La prima stesura del Guru Granth Sahib fu compilata nel 1604 dal quinto Guru, Arjan Dev, mentre la seconda e ultima versione fu opera di Guru Gobind Singh Ji e risale al 1705. Fu portato ad Amritsar nel Tempio d’Oro, nel Punjab, la capitale del Sikhismo e anche il principale centro di pellegrinaggio.  

Nei templi sikhisti (Gurdwara), nella parte più importante della sala di preghiera (Darbar Sahib) c’è una piattaforma (manji), una sorta di leggio, coperta da un baldacchino, decorato con materiali preziosi, dove viene adagiato il libro, avvolto da un tessuto prezioso, e di notte viene deposto cerimoniosamente in un repositorio ricoperto di speciali tessuti decorati. I fedeli quando entrano nella sala si inginocchiano o si inchinano davanti al Guru Granth Sahib, coprono le loro teste e tolgono le scarpe in sua presenza. Mentre si legge il libro si ondeggia su di esso la sacra piuma (Chauri), una sorta di ventaglio fatto di peli di cavallo bianco o yak inseriti in un manico di lana o argento.

Il Chauri viene agitato sul libro sacro durante la lettura per evitare che sul libro si posino insetti o polvere

L’installazione e il trasporto di Guru Granth Sahib sono regolati da rigorose norme. In circostanze ideali, sono necessari cinque Sikh battezzati per trasferire il Guru Granth Sahib da un luogo all’altro. In segno di rispetto, viene portato sulla testa e la persona cammina a piedi nudi. Ogni volta che un devoto lo vede passare si toglie le scarpe e si inchina. La piattaforma, o trono su cui siede il libro sacro viene venerato come simbolo sacro: davanti ad esso i fedeli depositano le loro offerte in denaro o cibo e ad esso non voltano mai le spalle.

Guru Nanak Dev Ji, fondatore del Sikhismo con i 9 guru suoi successori

Il Sikhismo nasce dal desiderio del suo fondatore di armonizzare le due religioni, l’Induismo e l’Islam, perché la zona del Punjab era teatro di terribili scontri fra gli indù locali e i musulmani invasori, dell’impero Moghul. Dall’Induismo trae la credenza della trasmigrazione delle anime (Samsara) e degli effetti delle azioni sulle vite successive (Karma). L’obiettivo ultimo è di interrompere il ciclo delle rinascite, tranne che la liberazione non è vista come un annullamento del sé, bensì come una congiunzione con Dio, che è Uno e indivisibile, come il Dio dei musulmani. Tale congiunzione si ottiene tramite la fede in Dio e il retto comportamento. E come i musulmani, i sikh credono che Dio abbia creato il mondo e che la Sua volontà governi ogni cosa. Un solo Dio, quindi, chiamato ‘Woheguru’, che significa “Gran Maestro”.

Il codice di condotta del sikhismo prescrive che è necessario vivere una vita morale, controllare i cinque vizi3, rendere servizio alla comunità e ai poveri, lavorare onestamente e condividere il guadagno, combattere quando è necessario con coraggio, astenersi dall’adorazione degli idoli e dalle pratiche superstiziose, ricordare il creatore in ogni momento4, seguire un regime alimentare totalmente vegano ed escludere il tabacco e l’alcol.  L’ “Amrit Sanchar”, una sorta di battesimo, è il rito che permette di entrare nella comunità dei credenti (Khalsa) quando una persona ritiene di aver raggiunto un’adeguata maturità spirituale. Non è indispensabile per essere Sikh, ma è considerato un segno di dedizione totale alla fede. La cerimonia è condotta da cinque Sikh battezzati. Fin dalla nascita, la desinenza “Singh” (leone) per gli uomini e il nominativo “Kaur” (principessa) per le donne indica l’appartenenza al popolo Sikh.

 

I segni fisici della fede son le chiamate 5 ‘k’.:

1) Kesh (capelli lunghi raccolti in un turbante, obbligatorio per gli uomini e talora usato anche dalle donne);

2 ) kangha (il pettine, segno di capelli raccolti in modo ordinato, a differenza della crescita «libera» e disordinata degli asceti induisti);

3) kara (un braccialetto di ferro, che rappresenta il controllo morale nelle azioni e il ricordo costante di Dio);

4) kachehera (mutande o pantaloncini corti);

5) kirpan (spada cerimoniale, di cui oggi si sottolinea che è un simbolo religioso di fortezza e lotta contro l’ingiustizia, non un’arma)

L’Harmandir Sahib, conosciuto anche come Tempio d’Oro, è il santuario più importante della religione Sikh (Amritsar, Punjab, India)

Tutti gli esseri umani sono uguali davanti a Dio, quindi non esiste il sistema delle caste. Esiste la parità assoluta fra donne ed uomini, anzi la donna è una figura fortemente rispettata per il suo ruolo nella famiglia e nella società. Essa può partecipare, praticare e officiare servizi religiosi. L’inesistenza del clero e ogni forma di ascetismo e mortificazione del corpo, del celibato e del culto delle immagini sono altre caratteristiche di questa religione così come la condivisione dei beni e giustificazione della ‘guerra santa’ intesa come strumento per combattere ingiustizie.

I numerosi santuari dei sikh sono chiamati ‘Gurdwara’, ossia ‘Tempio del Signore’, e sono aperti a tutti, indipendentemente dall’origine o religione.  L’unica restrizione riguarda il fatto che il visitatore non deve bere alcol, mangiare carne, fumare sigarette o assumere altre droghe mentre si trova nel santuario. In tutti i templi sikh esiste una zona dove vengono preparati e distribuiti i pasti per tutti quelli che ne hanno bisogno. E` il ‘Langar’, o mensa comunitaria. Una delle cerimonie fondamentali è quella della consumazione di un pasto comune come segno dell’adesione ad una vita di carità e di servizio. Ci si siede per terra come segno di uguaglianza. Ciascuno vi partecipa secondo le proprie capacità e riceve secondo i propri bisogni. E’ gratuito per tutti.

Il tempio per eccellenza è il santuario Harmandir Sahib ad Amritsar, nel Punjab, conosciuto anche come il ‘Tempio d’oro’ e risale al XVI secolo. Le sue cupole ed il soffitto a forma di loto rovesciato sono ricoperti di lamine d’oro. Nel ‘Langar’ di questo tempio si cucinano pasti per circa  100.000 persone al giorno. Centro politico e religioso, oltre che commerciale, il tempio fu da sempre teatro di innumerevoli conflitti. Fu occupato e profanato dagli Afgani nel 1756 e fu distrutto nel 1764. L’ultima profanazione è del 1984 quando l’esercito indiano lo ha danneggiato gravemente bombardandolo ed incendiandolo dovuto alle differenze fra il movimento separatista dei Sikh e il governo di New Dehli, che ebbe origine da quando nel 1947 si stabilì il confine fra India e Pakistan che tagliò il Punjab in due. Ripetuti episodi di violenza si successero fino alla metà degli anni 90 del secolo scorso.

Il simbolo più importante del Sikhismo è il ‘Khanda’, che rappresenta il potere creativo universale e prende il nome dalla spada a due tagli che è al centro, simbolo della Divina Conoscenza; il cerchio simboleggia l’infinito; le due spade all’esterno stanno per l’equilibrio spirituale e temporale dell’universo.

Su ogni tempio viene posta una bandiera gialla, la Nishan Sahib, con il disegno del ‘Khanda’.

1.- ‘Guru’ significa maestro, guida spirituale, ‘Granth’ libro, ‘Sahib’ è un titolo onorifico, signore

2.- ‘Sikh’ significa discepolo

3.- I cinque vizi sono: lussuria, rabbia, attaccamento, superbia e avidità

4.- Recitare quotidianamente e ripetutamente il Nome del Signore (Nam), anche attraverso il canto di inni, è un precetto di estrema importanza per il credente per raggiungere la liberazione.

La cruz de Anjou: no solo un símbolo religioso

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La croce di Anjou: non solo un simbolo religioso. Puoi leggere quest’articolo in italiano cliccando qui

La cruz de Anjou, según la tradición y documentación disponible, es un gran fragmento de la Vera Cruz, uno de los más grandes actualmente presentes en el mundo. El lado más largo mide unos 27 cm, con 2 de ancho y 1,3 de espesor; la primera traviesa es de 9,2 cm y la segunda de 7,8, formando un total de 104 cm3. Su tipología es la de cruz patriarcal, es decir compuesta por dos traviesas, siendo la superior más corta. Esta última simboliza el ‘Titulus Crucis’, es decir la placa con la inscripción INRI. De color marrón oscuro, fruto de un barnizado realizado probablemente en el momento del ensamblaje, o de su posterior decoración, de la que hablaremos más adelante, pueden apreciarse algunas vetas, algunos nudos y pequeñas fisuras, no siendo alteraciones importantes.

Es probable que en origen la cruz estuviera colocada dentro de un relicario o una estauroteca, según el uso bizantino: una suerte de estuche del cual se podía extraer la reliquia para poder acercarla a los fieles, como por ejemplo la Estauroteca de Limbourg. Sin embargo, la praxis occidental era más propensa a custodiar las reliquias en relicarios sellados; de esta manera la reliquia solo podría ser vista, expuesta, pero no tocada.

Esta cruz fue llevada hasta el Anjou (Francia) en 1241 por Jean d’Alluye, originario de este lugar, al regreso de la Sexta Cruzada, en la que tuvo un papel importante en la defensa de Creta. Y por este motivo, Tomás, obispo de la ciudad de Hierapetron en Creta, se la ofreció como obsequio. La cruz habría pertenecido al tesoro del Imperio Bizantino, y por lo tanto se conservaba en Constantinopla. Fue utilizada como símbolo del emperador Manuel I Comneno en el siglo XII y la llevaba siempre consigo en sus campañas. Sucesivamente, el patriarca latino de Constantinopla, Gervasio, se la habría dado al obispo Tomás.

Jean d’Alluye vende la reliquia por 550 libras tournois (equivalentes a 50 Kg de plata) a la abadía cisterciense de La Boissière, en Denezé-le-Lude en el ducado de Anjou. Como dato curioso, si visitamos el Cloisters Museum de Nueva York, encontraremos la lápida mortuoria de Jean d’Alluye.

– Lápida mortuoria de Jean d’Alluye. Closters Museum, Nueva York

Durante la Guerra de los Cien Años (1337-1453) la cruz es entregada por el abad de La Bossière al duque de Anjou para que la pusiera a buen recaudo. En 1359, Luis I de Anjou la expone en la capilla del castillo de Angers, la incorpora al blasón de la casa de Anjou y hace que aparezca en el tapiz del Apocalipsis, que hoy en día puede ser admirado en casi su totalidad en el castillo de Angers1.

– Cruz de Anjou. Lado con el medallón del cordero
– Cruz de Anjou. Lado con el medallón de la paloma

En 1364 su hermano, Carlos V de Francia, la manda decorar por sus orfebres, quienes le otorgan su aspecto actual. A cada lado de la cruz se ha añadido un Cristo en oro y, por encima, un medallón, también en oro: por un lado una paloma y por el otro un cordero con el estandarte de la resurrección. Las extremidades están decoradas con piedras preciosas y perlas. Además, con el fin de ofrecer a esta reliquia un espacio más digno, Yolanda de Aragón, esposa de Luis II, manda construir una nueva capilla, en estilo gótico. Es ésta la capilla que actualmente puede visitarse en el castillo de Angers. Luis II fundó en 1407 la ‘Cofradía de la Cruz’ cuya misión era la de proteger la sagrada reliquia. Con Renato I, en 1431,  los Anjou se hicieron también con el ducado de Lorena, por la boda de Renato con Isabel de Lorena, heredera del ducado.

En 1477, Renato II, hijo de Yolanda de Anjou, después de su victoria sobre Carlos el Temerario en la batalla de Nancy, quien había intentado adueñarse de Lorena, convierte la cruz en el símbolo de esta región. Y fue de esta manera que la cruz se convirtió también en Cruz de Lorena.

En 1456, después de alternar varios períodos de ‘estancia’ entre la abadía de La Boissière y el castillo de Anjou, la cruz vuelve a La Boissière, quedándose hasta 1790 cuando, durante la Revolución Francesa, es declarada bien nacional y puesta a la venta en una subasta. La fundadora del Hospicio de los Incurables de Baugé, Anne de Girouardière, la compró por 400 libras, que pagó a la caja del distrito. A partir de ese momento se encuentra en esta institución benedictina de Baugé, cerca de Angers, donde se puede visitar.

La cruz, como Cruz de Lorena, fue utilizada en múltiples conflictos en contra de la invasión extranjera, antes inglesa y después borgoñona; la mayoría de las veces como símbolo de una sola parte de Francia armada contra las otras. Como por ejemplo cuando fue utilizada como símbolo de la resistencia católica contra la difusión del calvinismo, como en la masacre de los hugonotes en la noche de San Bartolomé de 1572, o cuando fue utilizada por Antonio de Lorena en la represión de los campesinos alsacianos en 1525, por citar solo dos ejemplos. Aunque es históricamente impropio, esto hará que en el siglo XIX se empezará a considerarla como el símbolo de la unidad nacional francesa, particularmente a partir de cuando reaparece en el imaginario simbólico como uno de los atributos iconográficos de Juana de Arco (originaria de Lorena) convirtiéndose en el símbolo de la resistencia contra el invasor extranjero, después de la anexión de Lorena a Prusia.

– Insignia de l’Ordre de la Libération

En los años 40 del siglo pasado De Gaulle la convierte en el símbolo de toda Francia, de la Francia Libre y de la Resistencia francesa. Ostentaba este símbolo en su uniforme, sobre medallas conmemorativas o monumentos votivos. En 1914 el general De Gaulle instituyó ‘l’Ordre de la Liberation’ que tiene por insignia una Cruz de Lorena como parte integrante de una espada que se apoya en el dorso de un escudo. Pero en realidad este símbolo estaba más asociado a él como persona y a su partido que a la nación. Así lo demuestra una cruz gigantesca, de 73 metros, que fue erigida en memoria de De Gaulle cerca de su residencia de Colombey-les-deux-Églises. Este símbolo nunca ha estado entre los de la Quinta República.

– Monumento al General De Gaulle, Colombey-les-deux Églises
– Bandera de la ‘Fondation de la France Libre’

La Cruz de Lorena está presente en el símbolo de la ‘Fondation de la France Libre’, una bandera tricolor con al centro la cruz. A menudo es enarbolada en las manifestaciones de grupos de extrema derecha, aunque dicha fundación ha declarado muchas veces que no tiene nada que ver con las reivindicaciones de estos grupos extremistas.

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1.- El tapiz del Apocalipsis, comisionado al mercader Nicolas Bataille, fue realizado en Paris por el maestro tapicero Robert Poisson sobre cartones de Jean de Bruges, pintor de corte de Carlos V. Durante la Revolución Francesa se cortó en varios trozos que se destinaron a diferentes usos. Solo una parte de la obra se ha podido recuperar, la mayor parte, mientras que la otra se ha perdido. Después de un largo trabajo de restauración realizado a finales del siglo XIX, hoy pueden admirarse 71 de las 90 escenas iniciales (se han perdido 11), que ocupan una superficie total de unos 628 m2.

Para saber más:

  • Rohault de Fleury, Mémoire sur les instruments de la passion de N.S.J.C. – Paris 1870
  • E. di Rienzo. La Croce di Lorena, in F. Benigno, L. Scucimarra. Simboli della politica. Roma 2010

La colonna di Simeone Stilita

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-Resto della colonna di Simeone Stilita. Complesso monumentale de Qal’at Sim’an (Siria)

A circa 30 Km da Aleppo, Siria, in una località anticamente chiamata Telanisso ed oggi Deir Sim’an (Monastero di Simeone) o anche Qal’at Sim’an (Rocca di Simeone), si trovano i ruderi di un gran complesso monastico paleocristiano che nel 2001 è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Si tratta della chiesa di San Simeone Stilita, il Vecchio (per distinguerlo da San Simeone il Giovane). Al centro del complesso si trova una gran pietra bianca di circa due metri  che in realtà è ciò che resta di una grande colonna, la colonna sulla quale visse San Simeone gli ultimi 37 anni della sua vita, che per questo motivo ricevette l’attributo di Stilita (dal greco stylos, colonna) e che diede iniziò a un particolare tipo di ascetismo denominato, per l’appunto, stilismo e stiliti coloro che la praticavano.

Ma chi era Simeone Stilita? 

Grazie a quanto ci ha lasciato scritto Teodoreto1, vescovo di Ciro, compatriota e contemporaneo di Simeone, sappiamo che Simeone nacque in Cilicia verso il 390 da una famiglia di pastori. Già da ragazzo sentì il desiderio di portare avanti una vita religiosa ed entrò in un convento dove per ben 10 anni visse una vita di preghiera e mortificazione, mangiando una volta alla settimana, con lo sconcerto degli altri monaci del convento. Quando arrivò al punto di legarsi intorno al corpo un cilicio fatto di foglie di palma che lo riempì di piaghe negandosi a farsi curare, Simeone fu incoraggiato a lasciare quella comunità per evitare che fosse imitato da altri monaci. Quindi Simeone si trovò una capanna sul pendìo di un monte dove rimase rinchiuso per tre anni mangiando solo pane e acqua che gli venivano lasciati fuori la porta e dove passava le intere quaresime senza mangiare. Successivamente, Simeone si isolò su quella stessa montagna legato ad un sasso per non muoversi a più di 20 metri. Simeone intanto era diventato famoso e molta gente si avvicinava a lui per chiedere consiglio o preghiere di guarigione. Era soprattutto celebre nel curare con le sue preghiere problemi di sterilità che venivano a lui trasmessi per iscritto o non direttamente dalle interessate, perché non voleva essere avvicinato dalle donne, neanche da sua madre. Poco a poco comició ad essere ritenuto un santo, non solo per i miracoli che faceva, ma anche per la sua resistenza non naturale alle intemperie e ad ogni genere di fatica. Pregava in posizione eretta, con le braccia aperte a forma di croce e la sua posizione più frequente era quello di curvarsi dalla fronte ai piedi, flessione che poteva fare anche più di mille volte di seguito. Quanto ai miracoli, oltre alle guarigioni, c’era il dominio dei fenomeni naturali (siccità, tempeste…) o quelli che addirittura potevano risolvere problemi di tipo sociale.

Siccome la gente continuava ad aumentare, Simeone si fece costruire una piattaforma protetta da una balaustra su una colonna di circa quattro metri che trovò nelle vicinanze, sulla quale si trasferì. E più la folla aumentava, più alta diventava la colonna, che poco a poco raggiunse i sedici metri. Le persone quindi, dovevano usare una scala per parlare con Simeone. Questi veniva alimentato da coloro che gli portavano acqua o qualche dattero.

La fama di Simeone si diffuse in tutto l’impero bizantino e fu visitato da molti personaggi illustri, addirittura da Teodosio II e sua moglie Aelia Eudocia. Anche l’imperatore Leone I tenne molto presente il contenuto di una sua lettera. Addirittura ebbe una sorta di corrispondenza con Genoveffa di Parigi2, per mezzo dei pellegrini che lo visitavano e che portarono la sua fama in molte parti d’Europa, dove era rappresentata la sua immagine e quella del suo successore Simeone il Giovane anche su certe ampolle portate dall’Oriente, che contenevano olio benedetto o polvere dei luoghi santi, chiamate ‘eulogie’.

Simeone morì nel 459 a circa 70 anni. Le sue spoglie subito furono disputate fra Antiochia e Costantinopoli. La spuntò Antiochia perché la maggior parte di queste rimasero in questa città. Alcune reliquie furono trasferite a Costantinopoli e altre viaggiarono per il Mediterraneo.

Questo modello si ascesi nato e sviluppatosi in Siria, si estenderà anche nel resto della Chiesa cristiana orientale. E si mantenne anche dopo il grande scisma della Chiesa, Oriente-Occidente, ed in Russia addirittura si protrasse fino al secolo XV. Gli stiliti spesso alzavano le loro colonne nei pressi dei centri abitati e delle strade commerciali. Predicavano a davano consigli ai viandanti e guidavano la gente alla preghiera. Teodoreto li denominò ‘candelabri della fede’.

-Complesso monastico di Qal’at Sim’an. La colonna è nella parte centrale che unisce le quattro basiliche e che era sormontata da una cupola ottagonale
-Complesso monastico di Qal’at Sim’an. Al fondo si intravede l’abside di una delle basiliche
-Complesso monasttico di Qal’at Sim’an. Facciata principale della basilica

Ma non era l’unico modello. Le manifestazioni ascetiche in questa zona si manifestavano in diversi modi, frutto di un’esplosione monastica avvenuta in Siria e zone limitrofe tra il IV ed il VI secolo, con migliaia di comunità e molte iniziative individuali, come quella di Simeone, che non si sottomettevano ad alcuna regola comune. C’erano quindi i dendriti, che vivevano in cima agli alberi, quelli che si rinchiudevano in una grotta o in una torre, o coloro che stazionavano sempre in piedi nel medesimo luogo o che si coprivano di catene, o quelli che semplicemente vivevano una vita selvaggia, rifiutando il cibo cotto e la carne, di vestirsi e di lavarsi.

In quell’epoca, nel Cristianesimo primitivo c’erano diverse dottrine relative alla natura di Cristo, che non erano in linea con la posizione ufficiale (presenza in Cristo delle due nature, umana e divina) e per questo considerate eresie. Erano principalmente il nestorianesimo3, l’arianesimo4 e il monofismo5.  A quest’ultima appartenevano i cristiani della Siria.

E torniamo alla nostra colonna. Come dicevamo si trova al centro di un enorme complesso costruito per ordine dell’imperatore bizantino Zenone e completato nell’anno 490 in un tentativo di pacificare l’ambiente abbastanza irritato ed agitato a causa della disputa contro il monofisismo sollevata dal Concilio di Caledonia. Quattro edifici disposti in forma di croce in direzione dei quattro punti cardinali, erano uniti al centro da una cupola ottagonale che copriva la colonna. I quattro edifici erano quattro basiliche, una delle quali coronata all’estremità delle navate da tre absidi semicircolari, che in parte ancora si conservano. Al lato della basilica venne costruito un convento di grandi dimensioni collegato alla chiesa da un chiostro. Intorno al X secolo il santuario venne fortificato per difenderlo dai musulmani. Nonostante ciò la zona fu conquistata dai Selgiuchidi nel 1164.

Già dalla morte di Simeone la colonna era meta di molti pellegrinaggi, e con la costruzione della chiesa i pellegrinaggi aumentarono, favoriti anche dall’imperatore Zenone, diventando questo un grande luogo di culto.

La dichiarazione di questo monumento come patrimonio dell’Umanità  non è stato sufficiente a difenderlo dalla guerra che ha devastato la Siria. Curdi, turchi e gli aerei russi hanno combattuto in questa zona.

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1.- Teodoreto di Cirro, Historia Religiosa, cap. XXVI, ca. 440. Altre fonti: una vita del santo scritta in siriaco dai monaci del monastero sorto nei pressi della colonna; la vita scritta in greco dal monaco Antonio, autodefinito discepolo del santo, ma del quale non ne è chiara l’identità; un breve capitolo della Storia Ecclesiastica di Evagrio Pontico della fine del VI secolo.

2.- Genoveffa, posteriormente santa, Sainte Geneviève de Paris, patrona di questa città

3.- Prende il nome dal patriarca di Costantinopoli Nestorio. Dottrina che difendeva che le due nature di Cristo, divina e umana, sono completamente indipendenti tra di loro. E’ chiamata anche difisimo. Fu condannata dal Concilio di Efeso (431).

4.- Prende il nome dal monaco e teologo alessandrino Ario. L’arianesimo era la dottrina che nega la natura divina di Cristo. Solo il padre può considerarsi veramente Dio. Fu condannata dal Concilio di Nicea del 325, al quale partecipò l’imperatore Costantino il Grande.

5.- Monofisismo. Dottrina secondo la quale Cristo ha solo la natura divina. Fu creata e promossa da Cirillo, patriarca di Alessandria. Questa dottrina fu molto controbattuta dal Concilio di Calcedonia del 451 e condannata dal Secondo Concilio di Costantinopoli del 553. Il monofisismo esiste ancora fra i cristiani Copti d’Egitto e nella Chiesa Armena.

Tras las huellas de los apóstoles: las reliquias de San Juan Evangelista

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Sulle orme degli apostoli; le reliquie di San Giovanni Evangelista. Puoi leggere quest’articolo in italiano cliccando qui

San Juan Evangelista en Patmos. El Bosco (1450-1516). Gemäldegalerie, Berlín

Tenía unos 10 años menos que Jesús y era el más joven pero también llegaría a ser el más longevo de los apóstoles. Nació en Betsaida a orillas del lago Tiberíades, en el seno de una familia de pescadores bastante acomodada. Era hijo de Zebedeo y de Salomé (probablemente prima de la Virgen) y hermano de Santiago el Mayor. Juan, ‘el discípulo a quien Jesús amaba’, estuvo siempre presente en los momentos más importantes de su vida, tales como: la transfiguración, con Pedro preparó la Última Cena durante la cual estuvo sentado a la derecha de su maestro, la oración en el Getsemaní, el prendimiento de Jesús, el descubrimiento del sepulcro vacío por parte de María Magdalena, … fue el único de sus discípulos presente bajo la cruz. Tomó la Virgen bajo su cuidado hasta su muerte, habiéndosela encomendado Jesús justo antes de morir.

Según los Hechos de los Apóstoles, es enviado a Samaría, donde ya había predicado Felipe, para consolidar la nueva fe. Ya hacia el 52 deja definitivamente Jerusalén y se dirige a Asia Menor, para dirigir la Iglesia de Éfeso, donde en teoría ya había vivido con María. Su fama llega hasta Roma. Con la llegada al poder de Domiciano (81-96) se produce una persecución contra los cristianos. Aquí la tradición, o la leyenda, es bastante curiosa. Domiciano lo manda arrestar y llevar a su presencia. Antes que nada ordena que le corten el pelo, para humillarlo. Como tenía una gran fama de taumaturgo, le obliga a beber de un cáliz con un potentísimo veneno, pero que no tiene ningún efecto sobre el apóstol. Este mismo veneno se lo hacen beber inmediatamente después a otro condenado, quien muere instantáneamente. Por si fuera poco, Juan lo resucita. A continuación, cerca de Puerta Latina, lo meten dentro de una caldera con aceite hirviendo, de la que sale ileso. Este episodio lo describen sobre todo Tertuliano1 y San Jerónimo2, además de los Hechos de Juan. Domiciano, estupefacto, en vez de condenarlo a muerte, ordena su exilio a Patmos.

El lugar, Puerta Latina, había sido escogido porque cerca de esa puerta había un templete dedicado a Diana, diosa a la que Juan, en Éfeso (donde surgía uno de los más grandes templos del mundo dedicado a esta divinidad, una de las siete maravillas del mundo) había despreciado, según puede leerse en el apócrifo de los Hechos de Juan3.

C.B. Piazza lo describe de esta manera:

“…como muestra de vilipendio le rasuraron la cabeza, según el uso de entonces para atormentar a los magos, y que en la pena del aceite hirviendo dada al santo, para que muriera, estuvo presente el senado con el cónsul, y todo el pueblo romano. Fue en los tiempos de Domiciano y este martirio es relatado por Tertuliano con las palabras: ‘El apóstol Juan, después de haber sido metido en aceite hirviendo, y no habiendo nada padecido, fue relegado a una isla’. También San Jerónimo cuenta este hecho…4

Templete de San Giovanni in Oleo

A pocos metros de la iglesia de San Juan en Puerta Latina, casi pegado a la misma puerta, un templete octogonal indica el lugar exacto del martirio. Y no por casualidad se llama San Juan en Óleo (San Giovanni in Oleo). Este templete ya existía en el siglo V cuando se construyó la cercana iglesia de San Juan en Puerta Latina, pero no sabemos cuál sería su estructura original. Fue vuelto a edificar  por Benedetto Adam Borgognone en 1509, sobre un proyecto de Bramante y Antonio da Sangallo. Posteriormente, en 1658 fue transformado por Borromini y enriquecido con pinturas de Lazzaro Baldi que representan el martirio del apóstol. En su interior encontramos una inscripción, como recuerdo imperecedero:

Placa que describe el martirio de San Juan en Roma. San Giovanni in Oleo, interior

Martirii calicem  bibii hic Atleta Joannes / Principii Verbum cernere qui meruit /Verberat hic fuste proconsul, forfice tondet / Quem fervens oleum ledere non valuit /Conditur hic oleum, dolium, cruor, atque capilli /  Quae consecraviurt inclita Roma tibi

(“Aquí bebió el cáliz del martirio el campeón de la fe Juan, el que mereció discernir el Verbo del principio, aquí por voluntad del Procónsul fue azotado con el bastón y tonsurado con las tijeras, aquél al que el aceite hirviendo no consiguió lastimar. Aquí se conservaron el aceite, la tinaja, la sangre y el cabello, cuyas cosas la famosa ciudad de Roma te ha consagrado”).

San Juan es introducido en el aceite hirviendo. L. Baldi (1624-1703). San Giovanni in Oleo

En lo que concierne a sus reliquias, según un párrafo de un texto de Totti, en Roma se conservan: el cáliz en el cual le dieron el veneno y no fue lastimado, cadena con la que fue conducido atado a Roma, tijeras que utilizaron para rasurarlo y una camisa de lino. Todas éstas se encuentran en San Juan de Letrán. Caldera, en la que lo metieron con aceite hirviendo, parte del mismo aceite, cabello y sangre, están conservados en el altar de la capilla delante de Puerta Latina. Parte de su vestimenta en Santa María in Campitelli, San Juan de Letrán y en otras iglesias. El maná que habría supurado su sepulcro en Santa María en Traspontina fue repartido entre San Salvador delle Coppelle, Santa María la Mayor, Santa María in Campitelli, San Pedro en Vaticano u otras iglesias.5

Del sepulcro hablaremos más adelante. De todas estas reliquias, que se encontrarían en la Roma del siglo XVIII, época de la publicación del citato texto de Totti, ahora solo se conserva una arqueta que contendría partes de su túnica, expuesta en el Tesoro de la Basílica de San Juan de Letrán. Juan Diácono (siglo X) dice que San Gregorio Magno la obtuvo y que fue custodiada junto con otra túnica, también atribuida al santo, y también milagrosa ‘sub altaris Sancti Joannis in Basilica Costantiniana’. De las tijeras tenemos conocimiento por la ‘Tabula Magna Lateranensis’6 como también de la cadena con la que fue atado y traído desde Éfeso.

Arqueta que contendría partes de la túnica de San Juan Evangelista. Tesoro de la Basílica de San Juan de Letrán

Como decíamos, San Juan vivió su destierro en Patmos (una de las islas del Dodecaneso), no lejos de Éfeso, donde empezó a escribir el Apocalipsis. Cuando la isla fue incorporada al Imperio Romano sirvió, como otras islas de Egeo, como lugar de exilio para los prisioneros políticos. Después de la muerte de Domiciano sube al trono Nerva (96-98), tolerante con los cristianos, por lo que Juan, hacia el 98, es liberado y vuelve a Éfeso donde, según la tradición, escribe el Evangelio ayudado por sus discípulos. En esta misma ciudad muere, con unos 100 años de edad, durante el imperio de Adriano.

En el siglo VI Justiniano manda edificar una basílica en el lugar de la pequeña iglesia construida en el siglo IV sobre el sepulcro del apóstol en Ayusuluk, muy cerca de la antigua Éfeso. Esta basílica sería sucesivamente transformada en mezquita por los musulmanes y en el siglo XV destruida por las tropas de Tamerlán. En el siglo XIX se iniciaron las excavaciones que, en varias veces, sacaron a la luz partes de la basílica, mosaicos y también el que es considerado como el sepulcro del apóstol, del cual no queda prácticamente nada. En este sarcófago había tres agujeros de donde salía un polvo blanco, que los habitantes de la zona llamaban ‘maná’. Este fenómeno se verificaba todos los años en cuanto se iniciaba la oración a la víspera de la fiesta de San Juan y, según aseguraban, era una sustancia con poderes taumatúrgicos, casi milagrosos. ¿Será este el maná del que habla Totti, que llegó hasta Roma?

Gruta del Apocalipsis, Patmos
Gruta del Apocalipsis, Patmos. Detalle

Pero éste ya no es actualmente un lugar de muchas peregrinaciones como sin embargo lo es la ‘Gruta del Apocalipsis’ en Patmos, situada entre las aldeas de Skala y Chora. Es una gruta de unos 7 metros x 6 a la que se accede subiendo 43 empinados escalones. Es considerada como el lugar donde vivió el apóstol durante su exilio. En 1999 fue declarada Patrimonio de la Humanidad por la UNESCO, junto con el cercano Monasterio de San Juan. Según la tradición, en el interior de la gruta, cerca de la bóveda, aprovechando una grieta en la roca, a través de tres hendiduras más pequeñas, Dios habría revelado a Juan el Apocalipsis (esta palabra en griego significa ‘revelación’) que Juan, a su vez, dictó a su discípulo. En el siglo XI la gruta fue transformada en lugar de culto por el Beato Cristodulo, fundador también del monasterio de San Juan, y desde entonces millares de fieles de todas las partes del mundo vienen a visitarla.

En cuanto se entra en la gruta se ve al fondo un iconostasio con diferentes iconos, entre los cuales la de la revelación del Apocalipsis, la de San Cristodulo, de la Virgen con los apóstoles y la de San Juan con su discípulo Procoro en el acto de escribir. A la derecha una reja protege el lugar donde, según la tradición, el apóstol descansaba. Una aureola de plata evidencia el lugar donde Juan apoyaba la cabeza y la pequeña cavidad con el marco de plata sería donde él ponía la mano para levantarse. Un saliente en la pared rocosa, a modo de un atril, donde en la actualidad está situado un Evangelio, sería el lugar donde el discípulo escribió el Apocalipsis.

Juan fue el único de los apóstoles que no murió martirizado sino de vejez. En el apócrifo ‘Los Hechos de Juan’ la modalidad de su muerte cambia según las diferentes versiones: 1) envuelto de una luz cegadora y desde su tumba sale el maná, como comentado antes; 2) muere diciendo ‘La paz esté con vosotros hermanos’; 3) a la mañana siguiente de su muerte los discípulos encuentran solo sus sandalias habiendo el cuerpo desaparecido. Esto hizo pensar, durante un cierto período de tiempo, que Juan hubiese sido asunto en cielo, como demuestran algunas famosas obras de arte. Pero esta hipótesis no fue sucesivamente reconocida y aceptada por la tradición cristiana.

Asunción de San Juan (1310). Giotto. Capilla Peruzzi, Basílica de Santa Cruz, Florencia

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 1.- La prescripción contra los herejes,  cap. XXXVI, 83-84

2.- Comentario al Evangelio según Mateo, 20, 22

3.- Hechos de Juan, Cap. XXIII

4.- Piazza, Carlo Bartolomeo. Eorterologio, ovvero le Sacre stazioni Romane e feste mobili. Roma, 1858.

5.- Totti, Pompilio. Ristretto delle grandezze di Roma. Roma 1637

6.- Para saber más sobre la ‘Tabula Magna Lateranensis’ consulta este artículo

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Il culto di Carlo Magno a Girona

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– Chiave di volta della cattedrale di Girona con l’effigie di Carlo Magno

Nel XIV secolo, nel nord e centro Europa, nucleo dei territori del Sacro Impero Romano Germanico, cominciò a cristallizzarsi una sorta di culto per Carlo Magno ufficializzato a partire dal 1330 quando vennero  definite le pratiche liturgiche necessarie per la celebrazione di tale culto. Questo fatto non passò inosservato al vescovo di Girona (Catalogna, Spagna), Arnau de Montrodon (1333-1348), che ebbe anche la possibilità di realizzare diversi viaggi in Europa, anche prima di essere nominato vescovo, quando era un semplice canonico della cattedrale. Ma per portare questo culto a Girona era necessario trovare un legame fra Carlo Magno e la città. E così, nell’anno 1345 venne elaborato il documento Officium infesto Sancti Carli Magni imperatoris et confessionis in base a del materiale attinto da leggende locali che parlano del ruolo dell’imperatore nella costruzione di diversi templi nella provincia e l’accadere di eventi straordinari quando l’imperatore entrò nella città dopo aver cacciato i musulmani. Questo documento era indispensabile, per il nostro vescovo, per portare a termine il suo scopo.

– Cattedrale di Girona

E così, il 29 gennaio del 1345 istituì una festa in onore a San  Carlo Magno, con tanto di celebrazione liturgica, lettura di un sermone e solenne processione. Fu introdotto quindi un culto, basato sul fatto, chiaramente una leggenda, che l’imperatore aveva  fondato la cattedrale della città dopo aver cacciato i saraceni nel secolo VIII, oltre ad essere stato un paladino e difensore dell’ortodossia cristiana. Carlo Magno fu canonizzato dall’antipapa Pasquale III nel 11651, anche se questa canonizzazione non fu mai riconosciuta dalla Chiesa Ufficiale. Il vescovo Arnau, inoltre, stabilì un nesso tra il culto e venerazione per l’imperatore e le reliquie della passione presenti nella cattedrale, una Spina della Corona e un frammento della Vera Croce. La festa in suo onore, che veniva celebrata ogni 29 gennaio, fu ufficialmente soppressa nel 1483 per decreto papale. Ma nella cattedrale, in un modo o nell’altro, si continuava a celebrare la memoria dell’imperatore attraverso la lettura del sermone in ricordo delle sua gesta. Quando anche questo atto fu proibito (1884) nel 1916 fu fatto rappresentare in una delle nuove vetrate insieme ad altri santi.

Agli inizi dell’VIII secolo la penisola iberica fu invasa dai musulmani ed i principali luoghi di culto furono trasformati in moschee. Nello stesso secolo i franchi iniziarono la conquista dei territori situati nella fascia immediatamente al sud dei Pirenei incorporandoli al regno franco. Girona in particolare fu conquistata dai Franchi nel 785. Ma se secondo la leggenda fu lo stesso Carlo Magno a conquistare questi territori strappandoli ai saraceni, lui personalmente non partecipò a questa conquista, né tanto meno mise mai piede in questa città.

Però Girona è una città che per secoli è stata vincolata all’imperatore a partire da quando venne istituita la festa annuale in suo onore, come accennato prima. E le testimonianze che parlano del passaggio e breve soggiorno dell’imperatore in questa città son ancora molto vive nella memoria e presenti in varie opere d’arte nella cattedrale.

– Torre di Carlo Magno Cattedrale di Girona

Il primitivo tempio che i musulmani trasformarono in moschea, fu di nuovo destinato al culto cristiano. La cattedrale, iniziata nel secolo XI in stile romanico, è attualmente il risultato di diversi interventi, essendo quindi  presenti vari stili architettonici. Il campanile romanico, del secolo XI, è anche chiamato torre di Carlo Magno. Racconta la leggenda che in una fredda giornata d’inverno l’imperatore decise di salire sulla torre per contemplare il paesaggio nevicato. Ma nello sporgersi, Gioiosa, la sua famosa spada, cadde dalla torre conficcandosi nella terra al centro del chiostro. La spada non poté essere recuperata perché cominciò a scendere verso il centro della terra e … continua ancora a scendere, e quando arriverà dall’altra parte del globo, la terra si dividerà in due provocando la fine del mondo!!!

– Sedia di Carlo Magno. Cattedrale di Girona

Un altro reperto importantissimo che vuole dimostrare il passaggio di Carlo Magno nella città è la famosa ‘Sedia di Carlo Magno’. E’ larga abbastanza da far poter sedere due persone. Secondo la leggenda era la sedia o il trono usato dall’imperatore nella cattedrale e ha dei poteri speciali. Se si siede una coppia, questa si sposerà entro un anno. Invece se si siede una sola persona, questa non si sposerà mai. Quindi su questa sedia venivano fatti sedere i seminaristi prima della loro ordinazione e così si garantiva che avrebbero mantenuto il celibato. In realtà è un seggio episcopale del secolo XI. Si trova dietro l’altare maggiore della cattedrale, in un luogo elevato raggiungibile salendo una delle due rampe di scale che si trovano ad ambedue i lati dello stesso. E’ in marmo e decorato con diversi bassorilievi con motivi vegetali e con quattro medaglioni che simbolizzano i quattro evangelisti. Nei due lati sono scolpiti degli archi sostenuti da colonne e la parte posteriore dello schienale possiamo vedere un vescovo e due accoliti, aggiunti posteriormente.

Carlo Magno lo troviamo anche rappresentato in una chiave di volta della cattedrale. Un personaggio barbuto, incoronato e circondato da fiordalisi, che sono appunto il simbolo della monarchia francese.

– Statua di Carlo Magno, opera di Jaume Cascalls, sec. XIV. Museo-tesoro della cattedrale di Girona

Nel museo-tesoro della cattedrale l’imperatore è rappresentato in una statua di alabastro dipinto, realizzata da Jaume Cascalls nel XIV secolo, e commissionata dal vescovo Arnau de Montrodon. Il personaggio calpesta animali grotteschi che simbolizzano il male. Questa scultura fino alla fine del XIX secolo era situata in una delle cappelle del tempio, la cappella dei Quattro Santi Martiri, in un altare dedicato a S. Carolus Magnus, dove rimase fino al 1884 (data anche della sospensione della lettura del sermone) quando fu fatta rimuovere per ordine episcopale e fu quindi portata nel museo. Manca la mano destra che probabilmente sosteneva una miniatura della cattedrale.

La cappella dei Quattro Santi Martiri fu fatta costruire a spese dello stesso vescovo Arnau de Montrodon. I quattro santi martiri, patroni della città, furono martirizzati a causa delle persecuzioni di Diocleziano e, secondo la tradizione, le loro reliquie furono fatte portare da Carlo Magno dalla chiesa di Santa Maria alla cattedrale. Ma la cappella che oggi è a loro dedicata fu fatta costruire per iniziativa del vescovo Arnau e pagata da lui stesso. Questi la intitolò a San Carlo Magno, dedicandogli un altare ed una statua. E così riuscì a far condividere il culto dei patroni della città con quello dell’imperatore. Anche la teca dove si conservano le reliquie di questi martiri è della stessa epoca. In questa cappella si trova anche il sepolcro del vescovo e di suo nipote Bertran, anche lui vescovo.

-Teca contenente le reliquie dei Quattro Martiri di Girona. Cappella dei Santi Quattro Martiri. Cattedrale di Girona

Ma perché tanto interesse da parte di questo vescovo di instaurare e promuovere questo culto? Perché era la piattaforma ideale per costruire un programma di esaltazione ideologica e simbolica di questa sede episcopale. Una sorta de strumento propagandistico per consolidare il suo prestigio rispetto ad altri centri religiosi. E particolarmente verso il tentativo della vicina Ampurias di ergersi sede episcopale con la conseguente diminuzione di prestigio e potere di quella gerundense. Cosa che il nostro vescovo riuscì a scongiurare, proprio grazie a che fu capace di dimostrare un vincolo speciale con un personaggio che a quei tempo non solo era stato canonizzato ma che aveva dimostrato di essere un protettore speciale di questa città, liberandola dal giogo musulmano e fondando la sua cattedrale, oltre ad aver portato alla città delle importantissime reliquie cristologiche. E quanto più importante è la sede, altrettanto grande e importante è l’immagine proiettata del suo fautore. Anche la cappella dei Quattro Martiri fu fatta costruire a sua maggiore gloria.

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1.- L’antipapa Pasquale III fu costretto da Federico Barbarossa, però questa canonizzazione non fu mai ratificata dalla Chiesa Ufficiale. Leggi anche l’articolo: Carlo Magno: un santo?

La casa de María en Nazareth

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La casa di Maria a Nazareth. Puoi leggere quest’articolo in italiano cliccando qui

Según la tradición, es el lugar de la anunciación del arcángel Gabriel a María. O por lo menos lo que queda, porque el resto voló a Loreto. La casa de soltera, donde vivía con sus padres, Joaquín y Ana.

Las casas del lugar tenían todas las mismas características. Aunque la definición no es exacta: podríamos llamarlas casas-gruta, porque estaban parcialmente construidas y parcialmente excavadas en la roca.

-Basílica de la Anunciación, Nazareth

La casa de María se halla actualmente dentro de la moderna basílica de la Anunciación, consagrada por Pablo VI en 1969, que tiene dos niveles. En el nivel inferior, el ‘arqueológico’, puede verse la pequeña casa. Esta basílica surge sobre los restos de una iglesia bizantina del siglo V, de la época de Teodosio, a su vez construida sobre una sinagoga judeo-cristiana del siglo III, de la que quedan jambas y columnas, que tomó el lugar de una domus-ecclesia en la que se había transformado la casa-gruta en el siglo I. Delante de la iglesia-sinagoga fue descubierta una pila bautismal.

De la iglesia bizantina, de tres naves, quedan el ábside y unos mosaicos, visibles en la actual basílica inferior. En el 614 fue destruida por Cosroe II y por la sucesiva invasión musulmana. Pero en 1130 fue reconstruida por el príncipe Tancredo, convirtiéndola en una catedral cruzada de estilo románico, incluyendo un monasterio anexo, de la cual quedan seis capiteles en el museo. Esta también fue destruida, en el 1263, por el sultán Baybars y solo queda la gruta. Los franciscanos, presentes en este lugar como mínimo desde 1546, consiguieron en 1620 la custodia de los restos de la basílica y construyeron en 1730 una modesta iglesia que duró hasta la construcción de la actual basílica.

– Basílica de la Anunciación, Nazareth. Nivel inferior donde se encuentra la parte arqueológica y la gruta

Existe una tradición muy antigua que apunta a este lugar como la casa de María, conocida también como la gruta de la Anunciación. Las pruebas arqueológicas que intentan dar veracidad a esta tradición se basan principalmente en algunos grafitos importantes que pertenecían a la comunidad judeo-cristiana (siglos II y III) que atestiguan el culto a la Virgen y que confirmarían la hipótesis de la existencia de la casa de María alrededor de la gruta. Uno de éstos dice precisamente: XH MAPIA (abreviatura en griego de Xàire Maria), alégrate María, repitiendo el saludo del arcángel Gabriel.

Recientes excavaciones arqueológicas en Nazareth han sacado a la luz los restos de una vivienda del siglo I cerca de la basílica de la Anunciación. Esto confirma cómo estaban hechas las casas según los usos palestinos del tiempo, es decir con grutas, silos, pilas y escaleras que se han encontrado en su estado originario.

De los estudios sobre cómo estaban construidas las casas de Galilea en los tiempos de Jesús, sabemos que la parte más interna escarbada en la roca se completaba con otra externa de obra, que era el verdadero lugar de la vida diaria. Esta parte exterior de obra, formada por tres paredes, que no tiene la casa excavada en la roca de Nazareth, encajaría con la que se conserva en el santuario de Loreto1, según los estudios llevados a cabo entre 1955 y 1960 por el arqueólogo franciscano Bellarino Bagatti.

La basílica de la Anunciación es el principal reclamo de la ciudad de Nazareth. Millares de peregrinos vienen a rezar en el lugar donde fue engendrado Jesús, como recuerda la frase grabada en el altar en el centro de la gruta:

VERBUM CARO HIC FACTVM EST

«El Verbo se hizo carne en este lugar»

1.-  Para mayores informaciones sobre la casa de Loreto, invito a la lectura del artículo “Una casa que vuela”.

También puede interesarte: Meryem Ana: ¿la última morada de la Virgen?

San Luigi dei Francesi: altro che smembramento!!

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Luigi IX (1214-1270) fu un re molto religioso, probabilmente il più pio e devoto di tutti i re di Francia. È noto, fra l’altro, per essersi portato a casa la Corona di Spine ed altre preziose reliquie e per aver fatto costruire un tempio degno di conservarle, La Sainte Chapelle, un’opera sublime dell’arte gotica1.

Ma fu anche protagonista della Settima e dell’Ottava Crociata. La Settima Crociata fu il risultato di un voto che fece il re se fosse guarito da una grave malattia avuta nel 1244, perché proprio in quell’anno ci fu una nuova caduta di Gerusalemme. Partì nel 1248 arrivando per mare in Egitto. Però nel 1250 fu fatto prigioniero dai musulmani che lo trattennero per un mese e fu liberato grazie a che la sua consorte, la regina Margherita di Provenza, pagò un forte riscatto, e dovette tornarsene a casa senza aver ottenuto i risultati previsti. Non soddisfatto, qualche anno più tardi ci riprovò: nel 1269 partì per l’Ottava Crociata. Questa volta decise di cambiare strategia: consigliato anche da suo fratello Carlo d’Angiò, in quel momento re di Napoli e Sicilia, sarebbero sbarcati in Tunisia dove avrebbero riunito le truppe e i fondi necessari, potendo così muoversi alla volta dell’Egitto in modo più sicuro. Quello che non sapevano è che in Tunisia c’era un’epidemia di dissenteria e lo stesso re Luigi IX ne fu contagiato, morendo in pochi giorni. Fu a Cartagine, il 25 agosto 1270.

– San Luigi sul letto di morte. Les Chroniques de France ou de Saint-Denis, fra il 1332 e il 1350. Mahiet, Maître du Missel de Cambrai – Royal 16 G VI – f. 444v. British Library

Adesso il problema era come rimpatriare il corpo del re che, per tradizione, doveva trovare la sua sepoltura nella Chiesa di Saint Denis di Parigi, luogo destinato al riposo eterno dei re di Francia, come del resto era volontà di suo figlio e successore, Filippo III l’Ardito. Non era un problema da poco, tenendo presente che il viaggio era lunghissimo. Carlo d’Angiò, da parte sua, desiderava che fosse sepolto nel duomo di Monreale, Sicilia (fra l’altro molto vicino alla Tunisia), e così avrebbe accresciuto il suo prestigio, vantando di tenere un santo in più nel suo regno, che oltretutto era del suo stesso sangue. Eh già, tutti ormai da tempo davano per scontato che Luigi IX sarebbe stato santificato.

– Cappella dedicata a San Luigi eretta sulla collina di Byrsa, Cartagine, dove morì il re. Fu demolita nel 1950

Vista la differenza di opinioni e le difficoltà materiali per portare via il corpo così com’era, arrivarono a un accordo di compromesso: per la Francia le ossa e per Monreale le viscere e la carne. In quanto al cuore, ne riparleremo più avanti. Dovettero quindi ricorrere al ‘Mos teutonicus’, letteralmente il ‘Costume Germanico’, che veniva utilizzato in Europa nel Medioevo per trasportare igienicamente i corpi di persone di alto rango quando morivano in terre lontane dalla loro patria, mentre gli inglesi ed i francesi preferivano l’imbalsamazione. Il processo consiste nello smembrare il corpo, separare le viscere ed il cuore, e far bollire i pezzi con acqua e vino per diverse ore fino a che la carne non si separa facilmente dalla ossa. Sia la carne che gli organi interni potevano essere seppelliti immediatamente o conservati sotto sale allo stesso modo della carne animale, nel caso volessero essere anch’essi trasportati2.

– Ex cattedrale di Cartagine, Tunisia, ora centro culturale, conosciuta con il nome di Acropolium

Quindi le ossa del nostro devoto re, ben lustre, cominciarono il viaggio verso Parigi, scortate da un gran corteo reale. Il 14 novembre 1270 sbarcarono a Trapani per continuare il lungo viaggio che, attraversando lo stretto di Messina, doveva percorrere tutta l’Italia e parte della Francia. Il corteo funebre arrivò a Parigi il 21 maggio 1271, le spoglie di Luigi IX furono esposte nella cattedrale di Notre Dame e il 23 maggio si celebrò il funerale a Saint Denis.

– Statua del re Luigi IX. Museo Nazionale di Cartagine (Tunisia)

Se già prima di morire era ‘vox populi‘ che il sovrano sarebbe stato santificato, i miracoli avvenuti durante il lungo viaggio di ritorno in Francia non fecero altro che rafforzare l’idea generalizzata che fosse davvero un santo. Infatti questi cominciarono già dall’arrivo delle spoglie in Sicilia -dei quali la Santa Sede ne riconobbe due-, poi ce ne furono altri tre nel nord Italia e poi cominciarono a moltiplicarsi a Saint Denis. Ma nonostante le forti pressioni esercitate sia dalla corona di Francia che da diversi ordini religiosi e dal popolo, la desiderata canonizzazione tardò 27 anni, e fu annunciata solennemente da Bonifacio VIII il 4 agosto 1297, sancita definitivamente il 25 agosto, anniversario della sua morte. Un anno dopo, il 25 agosto 1298, in Saint Denis, in una cerimonia presieduta dal re Filippo IV , (Filippo il Bello, figlio di Filippo III) le ossa del santo furono depositate in un cofanetto reliquiario e sistemate dietro l’altare.

– Cenotafio del re Luigi IX. Museo Nazionale di Cartagine, Tunisia

Nel Medioevo le reliquie erano considerate dei grandi tesori, e molto spesso venivano utilizzate per farne dei doni e addirittura per sancire alleanze. Filippo il Bello mandò molte reliquie di suo nonno, grandi o piccole, a diverse chiese di Francia, soprattutto alla Sainte Chapelle, dove nel 1305 mandò quasi tutto quello che restava delle stesse, incluso il cranio (importantissimo), nonostante l’opposizione dei monaci di Saint Denis che però non poterono far niente contro l’imposizione del papa che avallava la decisione del re. I monaci si dovettero accontentare dei denti e della mandibola e, per dare un po’ più di importanza alle reliquie che erano rimaste loro, fecero costruire un bel reliquiario inaugurato solennemente nel 1307. Con il passare degli anni molte parti delle ossa furono donate a piccoli pezzi, anche dai successivi sovrani, a vari regnanti europei, come per esempio a Carlo IV (grande collezionista di reliquie3), o a monasteri di diverse congregazioni religiose. E così andò avanti fino alla Rivoluzione Francese e le poca ossa rimaste furono disperse o distrutte. Si salvarono solo quelle conservate a Saint Denis e, naturalmente, le reliquie di Monreale.

-Altare dedicato a Luigi IX, dove furono risposte le viscere del re. Duomo di Monreale, transetto sinistro

In quanto al cuore, c’era chi sosteneva che fosse stato portato a Parigi insieme alle ossa e poi a Notre Dame insieme al cranio, e chi invece che fosse rimasto nel duomo di Monreale insieme alle viscere, nell’ altare dedicato al santo, situato nel transetto sinistro. Poi nel 1803 fu ritrovata nella Sainte Chapelle una scatola di piombo al cui interno si trovava un’altra scatola, a forma di cuore, contenente un cuore umano avvolto in una tela di lino che fu subito attribuito al santo: ma il fatto non fu reso pubblico. Si fece fare un’altra scatola di stagno e il cuore fu riposto dove era stato trovato perché la situazione politica non era ancora ‘favorevole’. Qualche decennio più tardi, nel 1843, nel corso di alcuni lavori la scatola venne di nuovo rinvenuta. E questa volta vennero fatte delle minuziose indagini che però dimostrarono che il cuore trovato non poteva essere attribuito al re.

– Reliquiario che conteneva le viscere del re Luigi IX. Tesoro della cattedrale di San Vincenzo di Paola e Sant’Olivia, Tunisi. Il reliquiario, alto 2,20 m., è di bronzo dorato. I due angeli sostengono una miniatura della Sainte Chapelle, nella quale erano riposte del reliquie del re.

Le viscere (e quindi anche il cuore), come accennato prima, che vennero portate a Monreale da Carlo d’Angiò vi rimasero fino al 1860, quando Garibaldi con i suoi Mille sbarcarono in Sicilia e cacciarono l’ultimo re Borbone, Francesco II delle Due Sicilie. Questi portò via con sé le preziose viscere nel suo esilio attraverso l’Europa: Roma, Monaco, Belgio, Francia, Austria… Morì nel Tirolo austriaco nel 1894. Però lasciò le reliquie al cardinale Lavigerie, fondatore dei Padri Bianchi, con il desiderio che fossero portate alla loro cattedrale di Cartagine in modo che ritornassero nel luogo dove il re partì per la sua ultima dimora. Le viscere del re, alle quali il cardinale aggiunse una piccola parte del cranio, furono depositate in un magnifico reliquiario (due angeli che sostengono una miniatura della Sainte Chapelle) fatto da un orafo di Lione e riportate in Tunisia dallo stesso Lavigerie.  

– Reliquiario contenente le viscere e un pezzo del cranio del re Luigi IX. Cattedrale di Versailles

Questa cattedrale, dedicata a San Luigi e costruita tra il 1884 e il 1890, dal 1964 non è più dedicata al culto e viene attualmente utilizzata come sala per concerti ed altre attività culturali; è anche conosciuta con il nome di Acropolium. Non lontano dalla cattedrale già esisteva una cappella dedicata al re santo, costruita nel 1845 sulla collina di Byrsa, sul luogo dove morì. La cappella fu costruita con il proposito di celebrare la memoria del re ogni 25 agosto, data della sua morte, e anche come luogo di preghiera per i marinai francesi. La cappella fu definitivamente chiusa nel 1943 e demolita nel 1950. Ma il ricordo di questo re è sempre molto presente in Tunisia. Infatti, nel giardino del Museo Nazionale di Cartagine, che si trova presso la cattedrale, sul luogo occupato in precedenza dal seminario dei Padri Bianchi, è visibile il cenotafio di San Luigi e anche una statua a lui dedicata.

– Duomo di Monreale. Altare argenteo di Luigi Valadier (1771). San Luigi IX è il primo a sinistra, seguito da San Castrense, San Paolo, San Pietro, San Benedetto da Norcia e Santa Rosalia.

Nel 1964 le reliquie del re furono portate nella chiesa di Santa Giovanna d’Arco di Tunisi dove rimasero fino al 1985, data in cui l’arcivescovo della città ne fece dono al vescovo di Saint Denis che le depositò nell’oratorio episcopale. Nel 1999 le reliquie fecero un altro viaggio: furono portate a Saint Louis, Missouri, per essere esposte alla venerazione dei fedeli americani. Nel 2011 furono portate alla cattedrale di Saint Louis di Versailles, parrocchia originaria del re, dove si trovano attualmente.

Il prezioso reliquiario portato dal cardinale Lavigerie, rimasto a Tunisi, vuoto, dal 1996, è esposto nel tesoro della cattedrale di San Vincenzo di Paola e Sant’Oliva, l’attuale cattedrale cattolica di Tunisi.

Nel duomo di Monreale, il ricordo del re santo è sempre presente, non solo con il già citato altare del transetto sinistro a lui dedicato e con una delle statue dell’altare maggiore, opera di Valadier, che rappresenta questo re, ma anche perché Il 25 agosto di ogni anno si svolgono le celebrazioni in suffragio di S. Luigi IX Re di Francia, nella ricorrenza della sua morte4.

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  1. Invito alla lettura dell’articolo “La corona di Spine e la Sainte Chapelle
  2.  Il Mos teutonicus  fu abolito dal papa Bonifacio VIII nel 1300 attraverso la sua bolla De sepulturis
  3. Invito alla lettura dell’articolo ‘I sovrani collezionisti di reliquie
  4. Secondo il sito ufficiale del Duomo di Monreale, le reliquie del re (viscere e cuore) si troverebbero in una cassetta reliquiario all’interno dell’altare della cappella a lui dedicata.

Per saperne di più:

  • J. Le Goff, “Nous irons à Jérusalem!” Saint Louis sur son lit de mort à Tunis, 1270 , in : P. Gueniffey, Les derniers jours des rois, Perrin, Paris 2014
  • V. Lucherini, Smembrare il corpo del re e moltiplicare le reliquie del santo: il caso di Luigi IX di Francia, in: CONVIVIUM. – ISSN 2336-3452. – I:1(2014), pp. 88-101.

La piedra de la ‘descensión’

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La pietra della discesa. Puoi leggere quest’articolo in italiano cliccando qui

La magnífica catedral de Toledo, no sólo es importante por el complejo arquitectónico en sí, sino también por la gran cantidad de obras de arte que atesora. Por este motivo, no es de extrañar que otras ‘curiosidades’ puedan pasar completamente inadvertidas al visitante ocasional.

Me refiero a una piedra, llamada ‘Piedra de la descensión’, encerrada en una pequeña capilla situada junto al segundo pilar, entre las dos naves menores de la izquierda. Esta piedra recuerda el descenso de la Virgen María para la imposición de la casulla obispal al obispo de Toledo Ildefonso, posteriormente San Ildefonso. Y como testimonio de este evento, sobre la piedra habrían quedado grabadas las huellas de la Virgen.

La capilla en cuestión, llamada ‘Capilla de la descensión’, fue mandada construir por el rey Enrique II (siglo XIV) y estaría ubicada en el lugar preciso del milagro, que tuvo lugar en el 665. En esa época, este lugar estaba ocupado por el altar mayor de la basílica visigótica, consagrada por el rey Recaredo en el 587 que, con la invasión árabe, en el siglo VIII, fue sustituida por una mezquita, la gran mezquita de Toledo. Pero los árabes, cuando construyeron la mezquita, respetaron la piedra porque comprendieron que se trataba de un lugar sagrado ligado a la Virgen María, respetada en el Corán por ser la madre de Jesús. La mezquita, a su vez, dio paso a la actual catedral, después de la reconquista cristiana de 1085 por parte del rey Alfonso VI, pasando Toledo a formar parte del reino de Castilla.

– Capilla de la Descensión
– Grupo escultórico en alabastro de Felipe Bigarny (siglo XVI) que representa la imposición de la casulla a San Ildefonso por parte de la Virgen María. Altar de la Capilla de la Descensión.

La capilla es una estructura de tipo piramidal de tres cuerpos y el aspecto actual es el resultado de diferentes reestructuraciones llevadas a cabo durante el siglo XVI. Sobre el altar encontramos un grupo de esculturas en alabastro, obra de Felipe Bigarny, que muestran el evento. Alrededor de la escena principal se encuentran los cuatro padres de la Iglesia occidental, la ascensión de la Virgen y algunas escenas de su vida. Adosada a la verja que se encuentra a la derecha del altar y que rodea la misma capilla, encerrada en una urna de jaspe rojo, que recuerda a un buzón de correo, se encuentra la piedra, blanca, visible a través de una pequeña rejilla de hierro donde los fieles introducen un dedo para tocarla.

– Custodia de jaspe que alberga la Piedra de la Descensión, visible a través de una pequeña rejilla

Un rótulo de cerámica reza:

Cuando la reina del cielo

puso los pies en el suelo

en esta piedra los puso.

De besarla tened uso

para más vuestro consuelo.

Tóquese la piedra, diciendo con toda devoción:

“Veneremos este lugar en que puso sus pies la santísima Virgen”.

– Inscripción en cerámica que recuerda el milagro y la presencia de la piedra

Este ‘prodigio’ ha sido interpretado como un gesto de agradecimiento por parte de la Virgen a San Ildefonso por haber defendido, en varias de sus obras, como ‘De perpetua virginitate Beatae Maria’ su perpetua virginidad, sobre todo de los ataques de los herejes, tanto del pasado como del presente, quienes la negaban.

Ildefonso fue arzobispo de Toledo desde el 657 hasta el 667 y es uno de los padres de la Iglesia. Participó en los Concilios de Toledo de 653 y 655. Unificó la liturgia en España y escribió numerosas obras de carácter litúrgico y dogmático, particularmente sobre la madre de Dios, como la que hemos citado.

La tradición de la imposición de la casulla por parte de la Virgen a San Ildefonso, transmitida antes de forma oral y sucesivamente puesta por escrito en el siglo VIII, narra cómo al alba del 18 de diciembre de 665 (fiesta de la Anunciación del Angel a María), el arzobispo Ildefonso, acompañado de una procesión de sacerdotes con velas encendidas en la mano, se disponían a entrar en el templo para rezar y alabar al Señor. Una luz cegadora deslumbró a las personas del cortejo quienes, tirando las velas, huyeron asustadas. Sorprendida la gente del lugar por esa repentina huida, se acercaron a la puerta de la iglesia y vieron a Ildefonso, que se había quedado solo, rodeado de coros angelicales. Este se arrodilló delante del altar y vio, sentada en la cátedra episcopal, a la virgen María. Después de unos instantes de incertidumbre y estupor, Ildefonso se acercó a la Señora quien, agradecida, le dijo:

«Tú eres mi capellán y notario fiel. Recibe esta casulla que mi Hijo te manda desde su tesorería.»

Después de decir esto, la Virgen misma lo habría vestido, dándole instrucciones de usarla solamente en los días festivos en su honor.

Acto seguido, desapareció la Señora de la vista de Ildefonso, juntamente con las vírgenes que la acompañaban y la luz resplandeciente que había llenado el templo.

– Tímpano de la ‘Puerta del Perdón’, puerta principal de acceso a la catedral de Toledo
– Detalle del fresco de la bóveda de la sacristía de la catedral de Toledo. Lucas Jordán (siglo XVIII). En la imagen vemos a la Virgen con la casulla que va a imponer a San Ildefonso, arrodillado a la derecha de la imagen
– Detalle de los frescos de la Sala Capitular de la Catedral de Toledo. Juan de Borgoña (1510 aprox.). A la izquierda, escena de la imposición de la casulla a San Ildefonso

La escena de la imposición de la casulla a San Ildefonso está representada muchas veces en el complejo catedralicio. Podríamos decir que no hay lugar en el que no esté, entre los cuales el tímpano de la puerta principal de la misma catedral, en la sala capitular –con un fresco de Juan de Borgoña-, en la parte superior del ‘Transparente’, en el  -deambulatorio-, en la capilla de San Ildefonso, en la sacristía –con un fresco de Lucas Jordán y una escultura de El Greco, y otros lugares más. Pero esto no es todo. Toda la ciudad nos habla de este evento: está representado en la ‘Puerta del Sol’, que se abre en la muralla de la ciudad, o en la fachada y en el interior dela iglesia de los Jesuitas, por citar solo algunos lugares.

-‘Puerta del Sol’. En la parte superior del arco un medallón representa la escena de la imposición de la casulla por parte de la Virgen María a San Ildefonso
– Detalle del medallón

Sabemos que algunas piedras han sido objeto de particular devoción, y alguna continúan siéndolo, como por ejemplo la piedra negra de La Meca. Nuestra piedra en cuestión parece haber sido una antigua ara romana o incluso prerromana. Si esta teoría fuera correcta, nos hallaríamos frente a un lugar de culto muy antiguo, además del hecho de encontrar otro ejemplo más de un culto ancestral a determinadas pietras. Cuando el imperio romano se convirtió al cristianismo, los obispos intentaron desarraigar los cultos que tenían que ver con las piedras y las grutas sagradas. Sin embargo, aún siglos más tarde, este culto se seguía manteniendo. En España, en el 681 y 682 los Concilios de Toledo excomulgaron a los ‘veneratores lapidum’ (adoradores de las piedras), con escaso éxito. Por lo tanto la Iglesia tuvo que aceptar un cierto sincretismo, cristianizando algunas representaciones paganas como la de la Diosa Madre, adaptándolas a la nueva religión. La Diosa Madre, que a menudo se la representaba situada sobre una piedra sagrada, se convertía en una Virgen negra. Muchas grutas sagradas y otros lugares emblemáticos se convirtieron en iglesias y ermitas dedicadas a Nuestra Señora.

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Para saber más:

Fernández Collado, A. La descensión de la Virgen María a la catedral de Toledo. Significado y expresión artística. Real Academia de Toledo 2014, Toletum 0053